24 maggio 2023

Daniele Gatti porta in tournée la Gustav Mahler Jugendorchester

   Sulla carta quello tra Daniele Gatti e la Gustav Mahler Jugendorchester sembrava l’incontro perfetto. Da una parte un’orchestra con i tanti pregi e i pochi difetti della gioventù, che sono sostanzialmente generosità ed entusiasmo non disuniti da un pizzico di inesperienza, dall’altra un direttore ipertecnico e cavilloso, nella migliore accezione del termine, capace di incanalare quell’esuberanza in una traiettoria controllata. Aspettative ulteriormente attizzate dalla presenza in cartellone di un compositore che è iscritto sin dal nome nel genoma dell’orchestra e che offre a un concertatore sapiente come Gatti l’opportunità di giocare con un’orchestrazione superbamente fantasiosa e colorata.

Daniele Gatti e la Gustav Mahler Jugendorchester
Foto di Luca Valenta

   Alla prova dei fatti, cioè del concerto d’esordio al Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone, le previsioni non sono state disattese. Il programma unico del tour primaverile della Jugendorchester, lavorato e inaugurato nella sala grande dello stesso teatro, è un percorso a ritroso nell’opera mahleriana, dall’Adagio compiuto dell’incompiuta Decima sinfonia al principio, con la Sinfonia n.1 in re maggiore. Un concerto che altro non è che il primo tempo di un progetto idealmente di lungo respiro, che ripartirà ad inizio agosto sempre a Pordenone, sempre con Mahler, con la tournée estiva affidata a Jakub Hrůša (Sinfonia n.9 in Re maggiore).

   La collaborazione tra Daniele Gatti e la Gustav Mahler Jugendorchester approda dunque a una mutua esaltazione delle parti. Da una parte lui, che dell’orchestra ha un controllo pressoché assoluto e che ne determina (a memoria!) ogni accento e colore, non solo con il consueto dominio di anticipo e gesto, ma con un’attitudine che sta a metà strada tra la sfida, davvero titanica, di chi lotta per domare un organismo traboccante di vitalità e istinto, e un amore paterno per i musicisti. Di fronte lei, l’orchestra, che si fida e gli si affida, restituendogli indietro un calore e un virtuosismo che sfiorano continuamente il limite, senza infrangersi.

   L’esito è un Mahler dettagliatissimo ma pulsante, tanto perfettamente bilanciato negli equilibri interni quanto ardito nelle soluzioni. Se l’Adagio della Decima è un prodigio di legato, concertazione (come si appoggiano morbidamente gli ottoni sugli archi!) e di struggimento, pur mancando ancora di un pizzico di scorrevolezza e pulizia, la Prima Sinfonia non è solo straordinariamente suonata, ma è un capolavoro d’artista, una di quelle letture che aprono nuove prospettive su pagine ascoltate centinaia di volte.

   Con le sue aggressioni ora violente ora triviali, con quelle memorie malinconiche di una civiltà, forse di una serenità, perduta - il motivo di “Ging heut' morgen übers Feld ” velatamente nostalgico, il Trio stiracchiato a fisarmonica come facesse il verso al bon ton da osteria di campagna del barone Ochs, la plasticità del motivetto ciardeggiante del terzo movimento, il tema disperato del quarto che si avvita su se stesso incupendosi - con gli strappi brutali, terrificanti, che aprono e chiudono Kräftig, bewegt, doch nicht zu schnell e tutti quegli scarti improvvisi che l’orchestra tiene al millimetro, a costo di sacrificare qualche corda (chiedere al violino di spalla), il Mahler “giovane” della Prima dà la sensazione di essere il terreno d’incontro ideale tra questi musicisti e Gatti, che vi riversa tutta la sua fantasia “razionalizzata”, senza freni e senza quel distacco che talvolta sembra frapporre tra sé e l’orchestra.

   Non che sorprenda il livello di creatività e di dettaglio di Gatti, che è notoriamente un campione di analiticità, mentre è meno scontato che ogni frammento, spasmodicamente lavorato, riesca a trovare un senso d’insieme in un disegno coerente, come è in questo caso. È un Mahler avvicinato con un’andatura placida che dà modo alle frasi di distendersi e articolarsi con una chiarezza e che via via si anima. I tempi più comodi consentono a Gatti di lavorare accenti e fraseggio, di aprire e chiudere ogni suono in un arco ideale e di intervenire con il gesto e con l’espressione ad aggiustare o rafforzare in corso l'idea musicale con una ricchezza di vocabolario che l’orchestra recepisce e continua a recepire anche quando il direttore si infiamma. Vederlo esasperare l’intenzione di un’arcata mimandone la pesantezza del tratto con la bacchetta, spremere una frase o preparare transizioni e passaggi scomodi, scoprirlo alternare una chiarezza didascalica da maestro di solfeggio a una comunicazione “astratta” quasi bernsteiniana è uno spettacolo extramusicale dalle implicazioni musicali talmente lampanti che lascia ammirati su due livelli. Quello della padronanza tecnica del mestiere in primo luogo e quello della traduzione del gesto non solo in suono, ma in musica.

   È facile prevedere che replica dopo replica (Vienna, Dresda, Lipsia e infine Scala, giovedì 25) il suono della Gustav Mahler Jugendorchester si farà sempre più levigato, lasciandosi alle spalle quelle piccole increspature di struttura che una formazione che suona insieme da soli dieci giorni non può non avere. Orchestra che, per inciso, anche a questo giro trabocca di talento ed esprime una qualità eccezionale sia di amalgama che nelle prime parti.

   Successo trionfale per tutti.


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