7 febbraio 2020

Trevino-Baeva, una coppia che funziona

Mettere in piedi un gran concerto è relativamente semplice. Basta scegliere un’ottima orchestra, un direttore che la sappia tenere in pugno e abbia qualcosa da dire e, magari, anche un solista di alto profilo. Detto, fatto. D’altronde al Giovanni da Udine questo algoritmo elementare pare lo conoscano bene, visto che lì i grandi concerti sono più la regola che l’eccezione.

Alena Baeva, la “solista di alto profilo” del caso, non è una nuova conoscenza per il pubblico friulano, ma nel Concerto in re maggiore op. 77 per violino e orchestra di Johannes Brahms probabilmente è riuscita a ridefinire in positivo il ricordo che se ne aveva. Russa, classe ‘85, la Baeva è quella che si potrebbe definire una violinista “classica”, nel senso più nobile del termine. Ha un suono di bellezza canoviana, da gola sopranile, linea e intonazione apollinee, possesso assoluto di arco e tastiera e un’espressività un po’ buone maniere ma incantevole. Non è solista da graffi o arditezze, ma di dolcezza e ideale perfezione, che avvince con la purezza e l’eleganza del canto piuttosto che cercando di sorprendere a tutti i costi.



Anche Robert Trevino è un nome noto agli udinesi, questa volta però si presenta con un’orchestra tutta sua, la Malmö Symphony Orchestra, di cui dallo scorso anno è direttore principale. Dare conto di queste realtà baltiche è sempre a rischio retorica, però accidenti, sono orchestre meravigliose. E lo sono non certo per grazia divina, ma perché ci si investe e si lavora per portarle a livelli di eccellenza e dare loro un’identità. E molto spesso, come nel caso specifico, hanno anche un gran direttore che ne guida la crescita.

Robert Trevino, a dispetto dei suoi trentacinque anni, ha tutto ciò che si può chiedere a un maestro. Totale controllo dell’orchestra e della musica, fantasia – è sufficiente vedere come lavora certi temi in ripresa del violino nel concerto di Brahms – e un’energia esuberante. Ma Trevino non è solo carica dopaminica e urgenza. Sa cosa sono i colori e ha un’idea ad ampio respiro dello sviluppo musicale, basti ascoltare come monta il climax dinamico nell’Allegretto della Sinfonia n. 7 di Beethoven, o banalmente, l’impronta teatralissima che dà all’incipit. Dopo il La maggiore seccato dai timpani, gli oboi disegnano un tema che viene improvvisamente ammazzato da un colpo sul Mi maggiore, come una brusca calata di sipario. Il tema passa ai clarinetti mentre gli oboi vanno altrove, dunque tocca a un nuovo La maggiore ribaltare la scena: la tinta muta ancora, entrano flauti e corni, poi ecco un Re, come un colpo di scure che resetta tutto. E così via. Trevino “racconta” questi scarti timbrici e armonici esasperandone la differenza coloristica, quasi la musica procedesse per balzi di inquadratura da un’immagine all’altra a ritmi da videoclip, o mimasse un’infilata di diapositive. Impressionante.

Come stacca e porta in fondo il Quarto movimento poi è cosa da gran virtuoso. Non basta metterci un tempo bello svelto per dare tensione a un’esecuzione, bisogna saper articolare le linee, magari infondendoci un bel passo danzante, e il tutto va tenuto ritmicamente insieme e sostenuto, altrimenti la bolla si sgonfia. Trevino ne è capace e lo fa, accumulando elettricità in un crescendo parossistico che fa esplodere il pubblico.

Postilla per i curiosi. Pare che direttore e orchestra abbiano in programma la registrazione dell’integrale delle sinfonie di Beethoven, i cui lavori sono iniziati lo scorso autunno, per l’etichetta finlandese Ondine Records. Da mettere nella lista dei desideri.

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