2 gennaio 2020

Don Giovanni chiude il Diciannove al Verdi di Padova

Di Donn’Anne cui non dispiace troppo essere “sforzate” da Don Giovanni ormai ne abbiamo viste a bizzeffe, d’altronde l’inafferrabile ambiguità su cui regge quest’opera si presta a soluzioni d’ogni sorta, anzi, le incoraggia. Il problema di tali deragliamenti è condurli con coerenza, o almeno attenuando le contraddizioni il più possibile, cosa che Paolo Giani Cei, almeno nel caso specifico, riesce a fare. Anche perché la sua Anna, Ekaterina Bakanova, è un’artista vera. Dopo essere passata per le mani di Giovanni, il suo Ottavio uomo-beta-che-più-beta-non-si-può le suscita quasi disgusto. Lui ci prova a rassicurarla, a farsi amare, “hai sposo e padre in me” le dice, lei lo guarda con la commiserazione di chi pensa “ma cosa sta blaterando questo cretino?”. Poi, quando capisce che Giovanni fa così con tutte e lei è solo una delle tante, parte la vendetta: decide di "denunciare" le sue malefatte pubblicamente, appellandosi al senso della giustizia del futuro (chissà...) sposo, con una sceneggiata cui può credere solo un tonto simile.

Foto di Giuliano Ghiraldini

Per il resto di interessante nello spettacolo in scena al Teatro Verdi di Padova non c’è molto. Scene a tendaggio di gusto e ispirazione tradizionalissima, coro e mimi dalle movenze felpate che oliano e punteggiano l’azione, o almeno ci provano, e il sesso, sesso vuoto e coattivo, piazzato a trazione del tutto. Così il finale primo ruota attorno a un lettone sotto le cui coperte Giovanni fa di Zerlina quel che si suole fare sotto le coperte, mentre la mensa del secondo atto è apparecchiata a donne distese su un tavolone e pronte a essere delibate ad una ad una, non fosse che tra loro c’è anche Elvira, che un po’ rimbrotta e un po’ gradisce.

Purtroppo non arrivano grandi idee dalla buca, dove Jordi Bernàcer tira dritto senza curarsi troppo della dinamica e dello sviluppo musicale, ma si limita a dosare equilibri interni e tenere il palco, che pur di tanto in tanto gli sfugge di mano. Il problema è che Mozart, a eseguirlo soltanto senza metterci del proprio, lo si seda. Ci si chiede poi il perché di certe scelte metronomiche, soprattutto nella seconda aria di Elvira, staccata con un tempo forsennato che la priva d'ogni patetismo, fino a renderla un frigido esercizio di virtuosismo vocale. Per il resto l’Orchestra di Padova e del Veneto si comporta decisamente bene, compatta e pulita, senza sbavature né inciampi.

Andrei Bondarenko è un protagonista ancora in cerca del suo personaggio. Benché la voce sia duttile e di bel colore, tendenzialmente chiaro rispetto alla corda e all’estensione, al basso-baritono manca ancora una padronanza più rifinita della parte, sia nella caratterizzazione scenica, sia nel dominio della parola.

Il Leporello di Mirco Palazzi ha dalla sua soprattutto l’eleganza della linea e l’uniformità della voce, che sale e scende senza colpo ferire, ma manca, nel contesto specifico, di una cifra più definita e personale, ma forse è proprio il regista che non sa bene cosa farsene di questo personaggio borderline, difficilmente inquadrabile nella seriosità generale del disegno.

Si è già fatto cenno di Ekaterina Bakanova, che è attrice e cantante al pari livello. Si mangia il palco, è musicalmente irreprensibile e soprattutto non spreca una parola né una nota. Chiaramente, come tutte le Anne di ascendenza più lirica che drammatica, l’aria del secondo atto riesce ben più travolgente della prima.

Anastasia Bartoli sorprende per l’ottima qualità del canto, per la rotondità dello strumento e il legato. La parte va ancora un po’ maturata in termini di personalità e confidenza, soprattutto nelle sfumature e nei piccoli dettagli, ma le premesse sono ottime.

Andrei Danilov è un Ottavio di bel timbro e ottimo controllo del fiato, che però deve sistemare un po’ l’intonazione e soprattutto evitare certe cafonate come l’acuto finale posto a chiusura de “Il mio tesoro intanto”. Michela Antenucci è una Zerlina il giusto ambigua e naive, ma anche con ottime carte da giocare sul versante vocale.

Positiva la prova di Daniel Giulianini, Masetto solido e ben calato nella parte. Al solito affidabilissimo Abramo Rosalen, che ha molta voce da offrire alla parte del Commendatore. All’altezza della situazione anche il Coro Lirico Veneto, ben preparato da Matteo Valbusa.

Buon successo per tutta la compagnia a fine spettacolo.

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