21 settembre 2019

Die Zauberflöte: uno scontro di civiltà?

E se Sarastro fosse il cattivo? Non ci si pensa spesso, ma in fondo la dialettica della formazione consacrata alla Ragione – sia d’impronta illuministica, massonica, etica poco importa – per come viene recepita e trasferita sul palco novantanove volte su cento ha in sé qualcosa di moralistico. Caroline Staunton però non la vede proprio così e nel Flauto magico che mette in scena alla Irish National Opera, neonata compagnia di bandiera in una Dublino che si era dimenticata del melodramma da una decina d’anni, ribalta la prospettiva e lo fa proprio partendo dalla storia recente della nazione. In un'Irlanda bucolica e folcloristica di fine Ottocento, dove Papageno è una sorta di spirito dei boschi e la Regina della notte una fattucchiera con le corna da Maleficent, il faro della Ragione ha i risvolti inquietanti del colonialismo. Sarastro insomma è l’istituzione britannica che vorrebbe civilizzare gli irlandesi con tutta la spocchia della cultura superiore.

Photos by Pat Redmond

Così il percorso di Tamino e Pamina diventa l'inserimento nel mondo bene del college inglese, un progressivo sradicamento che fa rima con snaturamento. L'idea della Staunton è buona perché regge, ma ha un pregio su tutti: ci racconta finalmente che nel Flauto non ci sono buoni o cattivi, ci sono punti di vista diversi che si fanno paura a vicenda e non riescono a comunicare. Il colpo di scena arriva nel finale, quando, al culmine della celebrazione corale della virtù di Sarastro, gli irlandesi scelgono di riabbracciare la propria identità, abbandonando il mondo dorato e snob degli inglesi per tornare ad essere se stessi. Sarastro è sconfitto, l’Irlanda è fatta.

Photos by Pat Redmond

Il secondo merito della regista è tipicamente britannico: sa fare teatro. I mezzi non sono eccezionali, le scene carine e nulla più, ma c'è una cura per la recitazione del piccolo dettaglio che dà la misura di quanto certe contumelie tipicamente italiane sull'impossibilità di produrre spettacoli di livello per limiti di budget siano fandonie. Se ci sono idee e professionalità si può realizzare molto con poco.
Il cast è complessivamente omogeneo e dove non arrivano le voci c'è comunque tutto il resto. Nick Pritchard è un Tamino garbato nel canto, ancorché un po' sbiadito. Bellissima sorpresa la Pamina di Anna Devin, voce di pasta e colore quasi mezzosopranili e gran musicalità. Gavan Ring è il classico baritono anglosassone dal timbro chiaro e dalla spiccata duttilità nel dire. Gli altri sono alterni, a partire dell’anonima Astrifiammante di Audrey Luna, ma tutti convincenti.

Ad ogni modo le cose più interessanti arrivano dalla buca, un po' perché la Irish Chamber è una signora orchestra da camera, un po' perché Peter Whelan la conduce con piglio atletico, che non è affatto sinonimo di muscolare. Fa insomma un Mozart asciutto ed incalzante, tutto nervi, sferzate e stilettate, ma non privo di finezze e trasparenze.

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