16 maggio 2019

Le invasioni transalpine

  Il teatro è friulano, Hugh Wolff parigino di nascita e statunitense di passaporto, la cittadinanza della Belgian National Orchestra è inequivocabile, il solista francese e il repertorio spazia dall’oltralpe alla Vallonia. Una diagonale collega idealmente Udine agli States a suon di musica, specificamente quella dell’Ottocento dell’estremo ovest europeo. Si finisce così a pensare, nel bel mezzo del concerto, a quanto sia germanocentrica la nostra concezione del repertorio e quanto rigidi i riferimenti estetici se si parla di sinfonismo romantico e tardoromantico. Di musica bella e, cosa ancor più importante, originale, se ne scriveva anche altrove, non di rado scovando percorsi differenti ma, forse, più veloci nell’anticipare il futuro. Quanti presagi del Novecento meno togato ci sono nel Concerto n. 2 in sol minore op. 22 per pianoforte e orchestra di Camille Saint-Saëns, ad esempio?



  Bertrand Chamayou al pianoforte pare un fanciullo invecchiato, dalle pose a mezza via tra il posh e l’imbranato e un tocco sull’avorio schioccante. Mano leggera e garbata, di quelle che accarezzano i tasti più che affondarci, suono morbido ma cristallino, tenuta ritmica e musicale a prova di bomba. Scivola sulla tastiera con elasticità, cavandoci un bel suono perlato ancorché avaro di colori. Il suo insomma è un pianismo, se non in bianco e nero, filtrato in seppia, il che non lo rende meno entusiasmante. È tecnicamente insolente, squadrato, brillante, ma un po' monocromo e poco incline alla sfumatura e alla sterzata improvvisa. D'altro canto sa rivelarsi per altri versi illuminante: lo swing che ci mette nel Secondo movimento trasforma Saint-Saëns in una sorta di patrigno di Gershwin, spalancando dei portali temporali che lasciano intravedere in un concerto datato 1868 squarci di Dvorak, di jazz, ma anche di musica leggera.

  Più ordinario il Chiaro di luna di Debussy (bis) che parte con buone idee espressive ma si perde un po’ per strada nella ricerca di una pennellata che non arriva. È comunque trionfo personale per lui.

  La Sinfonia in re minore di César Franck è moneta corrente per la Belgian National Orchestra e si sente. Bel suono – l'orchestra non è né troppo chiara, né troppo pastosa ma ha un pregevolissimo equilibrio tra smalto e pienezza – equilibri impeccabili, pur con qualche pieno orchestrale un po' troppo offuscato, sbavature ridotte all'osso ma anche poco coraggio. Niente sbalzi né sgambetti, niente salti nel vuoto, nessun cazzotto in faccia. Suonata molto diligentemente sì, ma solo suonata, forse anche ben spiegata, ma senza mai scavallare dall’ottima routine alla grandissima interpretazione.

  Non indimenticabile l’Ouverture op. 21 Le Corsaire di Hector Berlioz che scalda i motori. Principia con qualche sbandata dei legni ma va in crescendo, accumulando via via tensione narrativa.

  Poco importa, è trionfo per tutti tra battimani ritmati e richieste di bis.

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