18 aprile 2018

Edward Gardner e Viktoria Mullova al Giovanni da Udine

Probabilmente il nome suonerà sconosciuto ai più, ma la Bergen Philharmonic Orchestra è tutt’altro che una formazione di seconda fascia. Scattante, nitida, tipicamente nordica per limpidezza e luminosità del colore, la Filarmonica norvegese è l’archetipo dell’orchestra di scuola scandinava – quella dei Göteborgs Symfoniker, della Swedish Radio Symphony Orchestra, della Filarmonica di Oslo, per intendersi – che non confonde mai la chiarezza con la secchezza, né la leggerezza con l’inconsistenza. Un’orchestra più votata alla trasparenza che alla compattezza, sia per la qualità del suono, che permette rotondità ed equilibrio in ogni gradazione dinamica, sia per la natura stessa della sua pasta, la cui tavolozza timbrica esplora mille gradazioni di colori freddi.


Caratteristiche che si sposano a meraviglia con la freschezza del suo direttore principale Edward Gardner, musicista analitico e antiretorico, capace di sfruttare e incoraggiare la prodigiosa malleabilità dinamica dell’orchestra e che si prestano altrettanto bene a sostenere il violino di Viktoria Mullova. L’artista russa ha infatti un suono tendenzialmente piccolo e penetrante, intrinsecamente bello, che forse soffrirebbe un accompagnamento più denso, almeno nella grande sala del Teatro Nuovo Giovanni da Udine, ma che invece può svilupparsi in tutto il suo raffinato intimismo sul cuscino delicato dei filarmonici di Bergen. Il Sibelius del Concerto op. 47 per violino e orchestra è, nelle mani della Mullova, elegante e flessibile, impeccabile nel virtuosismo (la sinistra è agilissima) e nell’intonazione, ma soprattutto improntato a un’espressività asciutta e pudica. Non stupisce affatto il successo clamoroso che le tributa il pubblico.

I brani dedicati alla sola orchestra, oltre a mettere completamente in luce le sue qualità, dicono molto di Edward Gardner, il quale non è solo direttore dal gesto nobile e dalla solida tecnica, ma possiede almeno altri due pregi che ne qualificano la statura. Il primo è la capacità di dare coesione e coerenza narrativa a quanto dirige, lo si apprezza forse ancora più nella Sinfonia n. 5 op. 82 dello stesso Sibelius – tesa e montante, che culmina in un terzo movimento staccato rapido ma pervaso da una grande cantabilità – che nell’Ouverture-fantasia Romeo e Giulietta di Čajkovskij. Il secondo asso nascosto nella manica del direttore inglese è una propensione al dettaglio, sia nello sviluppo delle singole linee, sia nei rapporti interni tra sezioni o singoli strumenti, che non tradisce mai velleità di calligrafismo.

La sintesi è un perfetto equilibrio tra intensità del discorso musicale e perfezione strumentale, che per di più si giova dell’idiomaticità timbrica della Filarmonica di Bergen per il repertorio in programma.

Non sorprende che il pubblico udinese, che pur è abituato a compagini di primissimo livello, saluti trionfalmente orchestra e direttore a fine concerto.

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