4 aprile 2016

Chung dirige lo Stabat Mater di Rossini alla Fenice

La lunga e travagliata gestazione, l'impronta teatrale marcata e la schietta radice operistica nell'impostazione musicale dei numeri fanno dello Stabat Mater di Rossini un lavoro peculiare nel repertorio sacro, senz'altro d'immenso fascino ma, non di meno, estremamente probante per un direttore d'orchestra. Il rischio tutt'altro che remoto di frammentarietà o quantomeno di incappare in qualche disomogeneità nell'esposizione pare tuttavia non sfiorare Myung-Whun Chung che, al Teatro La Fenice, si conferma direttore di prima grandezza, capace di spiegare e raccontare magistralmente l'opera rossiniana e, appunto, di centrare quella compattezza che per molti rimane un miraggio.
Il Maestro sudcoreano riesce infatti a fondere l'analiticità di una lettura in cui ogni dettaglio viene esposto e illuminato a una narrazione serrata che accumula progressivamente tensione fino ad esplodere in un fugato finale bruciante.
Nel disegno di Chung tuttavia, questa drammaticità scoperta e montante, si fonde senza soluzione di continuità ad una spiritualità profonda: i gesti teatrali più esteriori ed epidermici non paiono mai forzati così come colpisce la fluidità con cui vengono calibrati i contrasti dinamici della scrittura, sia in orchestra sia nelle voci, che mai scadono in un effettismo fine a se stesso. Non meno impressionante la capacità del Maestro di dare senso e significato ai silenzi, alle pause, di conferire loro il giusto respiro e di fonderli con il suono. Suono che è poi sempre caldo e ricco, anche nei passaggi più cupi e concitati, e che riesce a restituire a pieno la tragicità del lavoro senza mai perdere limpidezza e rotondità.

L'Orchestra della Fenice risponde alle suggestioni del podio con encomiabile precisione e ottima qualità.
I solisti e il coro hanno il merito di affidarsi completamente al direttore, assecondandone il disegno con cieca fiducia anche laddove le richieste siano praticabili con certa difficoltà. Il risultato raggiunge così una coerenza che eclissa, quando ci sono, alcuni piccoli limiti, ravvisabili soprattutto nel peso delle voci.

Carmela Remigio, soprano, soffre un po' nell'aria con coro Inflammatus et accensus la possanza del suono orchestrale mentre nell'introduzione e soprattutto nel duetto Quis est homo hanno modo di emergere con forza la sua musicalità e la solida tecnica.
Il mezzosoprano è Marina Comparato, musicista sensibile che sa risolvere il canto con gusto ed attenzione al fraseggio, qualità che affiorano prepotentemente nella Cavatina. La voce poi, rispetto a qualche tempo fa, sembra essersi inspessita ed aver maturato fascinose screziature brunite.
Positiva anche la prova di Edgardo Rocha, capace di superare senza difficoltà l'ardua scrittura della parte tenorile. Anche l'improba aria Cujus animam gementem è affrontata con sicurezza e con il giusto legato.
Mirco Palazzi, basso, canta con vocalità omogenea e morbida riuscendo a modellare la musica con un'espressività che non è mai forzata ma sempre incanalata in una linea elegante e pulita.

Merita un elogio il bravo Claudio Marino Moretti che ottiene dal suo coro una ricchezza di colori ed inflessioni stupefacente.

Trionfo a fine concerto e pubblico salutato con il bis dell'Amen finale.

Nessun commento:

Posta un commento