7 marzo 2016

Luisa Thriller

Non passerà alla storia la produzione di Luisa Miller in scena al Teatro Verdi di Trieste. Le poche consolazioni, in un quadro generale piuttosto sbiadito, arrivano dalla protagonista e dai complessi di casa. L'Orchestra del Verdi innanzitutto si conferma ad alti livelli anche sotto la guida di Myron Michailidis, non solo per l'impeccabile precisione di esecuzione ma soprattutto perché pare ormai aver maturato a tutti gli effetti un'identità timbrica ed un'omogeneità di suono notevolissime.


Per il resto il direttore va poco oltre alla sostanziale correttezza, compilando una concertazione attenta agli equilibri interni ma spesso soverchiante sul palcoscenico.

Saioa Hernàndez, come accennato, è una convincente Luisa, capace di superare con disinvoltura gli scogli della parte. La voce è di bel timbro scuro, non difetta di volume e mantiene una pregevole omogeneità di colore in ogni registro. Certo alcuni passaggi di agilità sono affrontati con prudenza e gli estremi acuti soffrono di qualche tensione ma nel complesso la prova del soprano è all'altezza della situazione.

Problematica invece la performance di Gustavo Porta, Rodolfo. L'emissione ingolata e l'aridità del timbro impediscono un'adeguata valorizzazione della musica e del personaggio e compromettono anche la riuscita del canto stesso: l'intonazione è spesso imprecisa, gli acuti forzati e il fraseggio monotono.

Filippo Polinelli, Miller, subentra in sostituzione del previsto Ilya Silchukov. Il baritono, dopo un primo atto molto faticoso, si è reso protagonista di una prova in crescendo che è culminata in un apprezzabile duetto finale. Non mancano le qualità vocali e tecniche a Polinelli ma al momento il suo strumento non pare sufficientemente maturo per reggere la scrittura verdiana senza cedimenti.

Andrea Comelli è ormai una presenza fissa sul palco del teatro triestino ma spiace ravvisare che, come Walter, non conferma le impressioni positive sinora restituite. I panni del Conte sembrano calzargli decisamente larghi, non tanto in termini di spessore vocale quanto nella gestione dei fiati e del legato. Dimenticabile l'esecuzione dell'aria del primo atto mentre va meglio il duetto con Wurm.

Olesya Petrova viene a capo senza patemi della parte di Federica, sfoggiando una vocalità ampia e di bel timbro. Positiva la prova di In-Sung Sim, basso dall'emissione sana ma soprattutto interprete consapevole che riesce a dar vita a un personaggio coerente e compiuto senza scadere in eccessi caricaturali.
Corretta Yumeji Matsufuji (Laura) mentre risulta più opaco Motoharu Takei nei panni del contadino.

Il coro preparato da Fulvio Fogliazza si comporta bene come sempre.

Purtroppo la produzione risulta pesantemente azzoppata dalla parte scenica firmata da Denis Krief il quale crea uno spettacolo che non è né bello né brutto ma, peggio, totalmente inerte. In un contesto registico assolutamente tradizionale per quanto riguarda il lavoro sui cantanti e sulla drammaturgia, l'asettica eleganza delle scene anziché aggiungere idee o spunti finisce per annacquare ulteriormente la narrazione. Manca una caratterizzazione ben definita dell'opera sia per quanto riguarda la risoluzione del linguaggio teatrale verdiano (arie, cabalette, duetti e concertati vengono risolti con il solito, trapassato, campionario di pose da melodramma d'antan), sia nella definizione dei caratteri che risultano convenzionali quando non appena abbozzati.

Lasciano poi esterrefatti alcune soluzioni che superano i limiti del grottesco, su tutte i movimenti coreografici chiesti a coro e solisti a inizio di primo atto. A firma di Krief anche i costumi e il piattissimo disegno luci.

Tiepida e sbrigativa l'accoglienza del pubblico a fine recita con applausi cortesi per tutti e qualche segno di dissenso per il tenore.

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