9 marzo 2016

Eduardo Strausser dirige la Filarmonica della Fenice

Secondo appuntamento della stagione dell'Orchestra Filarmonica della Fenice, dopo la data veneziana di lunedì 29 febbraio, fa tappa al Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone.

Sponsorizzato come “Concerto di pace” con la non originalissima etichetta-hashtag #makemusicnotwar, l'appuntamento verte intorno al lavoro, a tema, del compositore pordenonese Cristian Carrara: War Silence per pianoforte e orchestra. War Silence, ispirato alla Grande Guerra, più che ad una narrazione di fatti bellici mira a dipingere la reazione emotiva dell'individuo di fronte a queste tragedie collettive, intravedendo appunto nei “silenzi” un'oasi di speranza nel fracasso sanguinario dei conflitti. Quali siano le qualità ed il posto nella storia musicale di questa composizione sarà il tempo a stabilirlo ma senz'altro il servizio che la Filarmonica e il pianista Michelangelo Carbonara gli hanno reso è stato di prim'ordine.
Carbonara domina con sicurezza la materia, trovando una pregevole brillantezza di colori e articolando con vivacità.

Sul podio il giovane direttore brasiliano Eduardo Strausser si dimostra musicista sensibile e concertatore attento ma, allo stato attuale, ancora alla ricerca di una personalità di interprete ben definita, pregi e limiti che emergono soprattutto nei due momenti di repertorio aprono e chiudono il concerto.

La Suite da Pelléas et Mélisande, op. 80 di Gabriel Fauré convince ma non conquista. Si ammirano il nitore e la leggerezza delle sonorità, tenute costantemente su dinamiche soffuse, al pari dell'inappuntabile precisione orchestrale. Sembrano mancare tuttavia al maestro un po' di quel coraggio e di quella fantasia che trasformano la buona esecuzione in una lettura personale.

Questa timidezza interpretativa si avverte di meno nella Sinfonia n. 7 in re minore, op. 70 di Antonín Dvořák che riesce assai più tesa e compiuta. Strausser possiede un bel gesto che sa tradursi in fluidità di esecuzione: lo si percepisce al meglio nello Scherzo, ben vivacizzato da una sorprendente mobilità nell'agogica che scansa ogni metronomicità ed esalta la vena popolare che pulsa in questa musica. Più faticosa e zoppicante invece la narrazione nel secondo movimento, Poco adagio, che soffre di qualche calo di tensione.

Nel complesso gli equilibri e le dinamiche sono dosati con attenzione e le voci orchestrali calibrate con buonsenso ma non dispiacerebbe una maggiore attenzione ai colori che tendono all'uniformità.

Molto positiva – e non è una novità - la prova della Filarmonica che si conferma compagine all'altezza del grande repertorio sinfonico.

Calda l'accoglienza del pubblico a fine concerto.

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