Come nel caso di altre illustri realtà, anche per l'Orchestra del Teatro La Fenice la costituzione di una Filarmonica ad opera dei professori d'orchestra è coincisa con una notevole evoluzione tecnica ed artistica. Più che esserne la ragione parrebbe un'ovvia conseguenza, lo sviluppo ineluttabile di una compagine che sente il bisogno di confrontarsi con il mondo sinfonico e che, alla luce delle ultime prove, dimostra di avere tutte le qualità per farlo.
Lo evidenzia ulteriormente il concerto che ha inaugurato la stagione 2016 dell'Orchestra Filarmonica, appuntamento che vedrà i musicisti, assieme al direttore Omer Meir Wellber e alla violinista Midori Gotō, protagonisti, dopo la prima veneziana, di una breve tournée europea.
In programma due lavori pressoché contemporanei, pilastri del tardo romanticismo e del grande repertorio: il Concerto in re maggiore per violino e orchestra, op. 35 di Pëtr Il'ic Cajkovskij e la Sinfonia n. 2 in re maggiore per orchestra, op. 73 di Johannes Brahms.
Midori ha un approccio al concerto spiazzante: sin dall'ingresso nell'Allegro moderato si ascolta un suono piccolo e raccolto, tenuto su dinamiche leggerissime ed impreziosito da una gestione estremamente libera, fin quasi ai limiti della leziosità, del tempo. Le risorse espressive della violinista, piuttosto che nei colori e nel virtuosismo, vanno ricercate nella spontaneità del fraseggio e nella fluidità del discorso musicale. Non sorprende quindi che risulti assai più intensa e coinvolgente la Canzonetta che non le vorticose esplosioni dell'Allegro vivacissimo, cui difetta un po' di brillantezza o quantomeno di estroversione. Piace senza riserve invece la cura riservata ai temi più lirici, risolti con un'espressività pudica, delicata.
Wellber la sostiene mantenendo i volumi orchestrali molto soffusi, salvo concedersi alcune sfuriate nella chiusa del primo movimento e nel finale.
Più probante ed originale, per podio ed orchestra, la successiva parte di concerto. Nella Seconda di Brahms ha modo di emergere con forza la personalità eccentrica ma senz'altro affascinante di Wellber. Un Brahms estremo che spesso dimentica le buone maniere e scivola nell'eccesso ma nondimeno percorso da un'elettricità vivida. Il direttore tende ad adottare tempi ben scanditi, senza indugiare in compiacimenti ritmici ma infondendovi quelle sottili increspature che evitano di scadere nella metronomicità. Allo stesso modo ogni calligrafismo viene sistematicamente scansato in favore di un'espressività asciutta e di un fraseggio teso e nervoso. Certo si ascolta un sinfonismo abbastanza distante dalla tradizione esecutiva mitteleuropea, più garbata e levigata, ma anche dagli approcci che fanno dell'analiticità e della trasparenza i propri cardini. Quello di Wellber è un Brahms denso e magmatico, a tratti sgarbato e volgare, eppure straordinariamente compatto e coerente e, ad un ascolto attento, anche discretamente rispettoso del segno scritto.
L'Allegro con spirito è emblematico e sintetizza alla perfezione l'approccio del direttore alla materia: i contrasti dinamici vengono esasperati, con il forte che diventa fortissimo e lo sforzando che rasenta la violenza sullo strumento. Il risultato è a tratti confuso, talvolta pare sfiorare la rottura eppure prodigiosamente regge e trasmette una vitalità travolgente che conquista.
Colpisce positivamente la corposità di suono - degna di una grande orchestra - che sono capaci di esprimere gli archi, soprattutto nel secondo movimento, così come la varietà di sfumature dinamiche cui i Filarmonici sanno piegarsi. Certo il temperamento estremo di Wellber comporta più d'una criticità: alcuni forti escono grossi e squilibrati e le forzature su timpani ed ottoni potrebbero far storcere il naso ai puristi. Similmente lascia qualche perplessità la teatralità quasi caricaturale del gesto, decisamente sproporzionato al risultato. A tale esagitazione però l'orchestra risponde benissimo sia per qualità del suono, ricco e compatto, sia per precisione; gli attacchi sono puliti, gli equilibri interni rispettati. Le sbavature a ben guardare non mancano ma sono davvero veniali (qualche slittamento nell'intonazione dei violoncelli, l'intempestivo ingresso di un corno alla seconda battuta della sinfonia e poco altro).
A fine concerto accoglienza trionfale del pubblico salutato da una Quinta danza ungherese di Brahms a dir poco ammiccante.
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