Cosa spinge un melomane a vedere e rivedere uno stesso spettacolo cinque, dieci, venti volte? Oltre a quella pulsione ossessivo-compulsiva da collezionista di presenze a teatro che, chiaramente, fa la sua parte. Direi la curiosità innanzitutto, il piacere epidermico e irrazionale che in ogni caso un’opera dal vivo può scatenare, nel peggiore dei casi il bilioso puntiglio di chi spera di cogliere in fallo questo o quell’artista, attendendolo al varco di un acuto o di qualche scoglio tecnico. Questo per dire che ho visto La Traviata di Robert Carsen, caposaldo incrollabile del repertorio della Fenice, almeno sei-sette volte, restandone talvolta entusiasta, in genere soddisfatto ma mai, mai deluso. Le ragioni sono banali: lo spettacolo è bello, sensato e pensato, funziona alla grande anche a undici anni dal debutto, la compagnia del teatro saprebbe svolgerlo ad occhi chiusi senza la minima incertezza. Già ne scrissi qui, qui e probabilmente anche da qualche altra parte. Per giunta la direzione artistica del teatro riesce sempre, ad ogni ripresa, ad allestire cast interessanti, non di rado sorprendenti.
Ekaterina Bakanova ne è un brillante esempio: chiamata a debuttare nella parte di Violetta un paio d’anni fa in questo stesso allestimento, il soprano russo ritorna sul palco del Teatro La Fenice per far rivivere un personaggio che sente molto e che riesce ad animare di una verità teatrale travolgente. Al di là della solidità vocale che, ad eccezione di alcune opacità in acuto, è eccellente, la Bakanova si conferma musicista di prim’ordine, capace di dare significato ad ogni inciso grazie ad un fraseggio accuratissimo e ad un lavoro attento sull’accentazione e sulle dinamiche. L’attrice è poi all’altezza della cantante, se non superiore. Davvero notevole il suo terzo atto.
Molto positiva la prova di Piero Pretti, tenore dalla vocalità sicura e dall’ottima presenza scenica, capace di disegnare un Alfredo giovanile ed appassionato. La voce corre bene in sala, il gusto nel porgere è fresco e misurato. Convince il solido Germont di Marco Caria, cantante dotato di una voce importante ed omogenea cui si potrebbe solo rimproverare una certa piattezza nelle dinamiche. Tutti ineccepibili i tantissimi artisti chiamati a coprire la parti minori.
Concertazione di buone maniere quella di Gaetano d’Espinosa, sorvegliata ed attenta agli equilibri, alla chiarezza timbrica, ma zoppicante sulla tenuta teatrale. Certe scelte agogiche poco intelligibili (con accelerazioni e brusche frenate), talune sottolineature di incisi strumentali o cesellature fin troppo puntigliose, danno la sensazione di una direzione che a tratti perde la visione globale dell’opera, inciampando in cali di tensione; tuttavia non si possono che apprezzare la cura per la precisione strumentale ed il sostegno al palco garantiti dal maestro. Impeccabili orchestra e coro.
Trionfo personale per Ekaterina Bakanova e franco successo per tutta la compagnia a fine recita.
Paolo Locatelli
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