15 gennaio 2015

Jordi Savall al Verdi di Pordenone

Quello che Jordi Savall ha fatto in cinquant'anni di carriera va ben oltre l'archeologia musicale, oltre la filologia e la ricerca di una prassi esecutiva basata sulla storia e sulle fonti. Certo lo studio meticoloso, l'approfondimento tecnico ci sono e sono cardini imprescindibili per l'attività del musicista spagnolo, ma sarebbe ingenuo ridurre i suoi meriti alla riproposizione di un repertorio sconosciuto o all'eccentricità delle scelte. Lo dimostrano il consenso che da decenni accompagna ogni sua iniziativa, concertistica o discografica, come il pubblico eterogeneo che trascende i limiti degli appassionati alla cosiddetta “musica classica”.


Così è stato per il concerto al Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone del 10 gennaio: teatro praticamente esaurito, spettatori di ogni età e successo oceanico con pubblico in piedi, entusiasta e commosso, come succede di rado.

Savall, negli anni, è stato capace di convincere il mondo che un repertorio sconosciuto e remoto non solo meritasse attenzione, ma che avesse qualcosa da condividere con la sensibilità contemporanea. Le ragioni appaiono evidenti: la musica antica cui Savall ha dedicato buona parte della propria attività ha palesi ascendenze popolari e custodisce in sé le radici della musica moderna. La semplicità armonica e ritmica di questo repertorio, in buona misura costruito da un accompagnamento percussivo e rigido, in genere un giro di accordi, su cui si erge una voce solista (la viola da gamba o il violoncello di Savall), anticipa la struttura di molta musica leggera. Queste considerazioni da sole non giustificano tuttavia il successo planetario di Savall, né basta la sua preparazione musicale a spiegarlo, essendo la perizia e lo studio presupposti necessari ma non sufficienti per diventare grandi artisti: Savall è un grande artista perché riesce ad infondere nella musica che esegue una vitalità travolgente senza ridurre l'esecuzione ad accademia o ad un esercizio di filologia.

I musicisti dell'Ensemble Hesperion XXI – pur soffrendo la grandezza della sala del Verdi, in cui il suono degli strumenti antichi non riusciva ad imporsi con facilità – si dimostravano degni interlocutori del più noto maestro. Xavier Diaz-Latorre domava tiorba e chitarra con un tocco delicatissimo. Energica l'arpa barocca spagnola di Andrew Laurence King come le percussioni, sfumatissime nelle dinamiche, di David Mayoral. Completavano l'organico l'inappuntabile Luca Guglielmi (organo e clavicembalo) e il violone di Xavier Puertas.

Di Jordi Savall, direttore, violoncello e viola da gamba, abbiamo già accennato: oltre all'indiscutibile magistero tecnico e alla meticolosa attenzione per l'equilibrio ritmico e dinamico con le altre voci orchestrali, il musicista riusciva ad accendere la musica trasfondendovi il proprio carisma. Colpivano in modo particolare la musicalità delle esecuzioni e la cura per fraseggio e contrappunto, in grado di raggiungere quella spontaneità e quella naturalezza che solo anni di esperienza, uniti ad un talento invidiabile, possono consentire.

I brani proposti, sconosciuti ai più, spaziavano grossomodo lungo due secoli di repertorio (tra il 1500 e il primo 700), raccogliendo compositori di origini e sensibilità diverse, pezzi anonimi ed improvvisazioni. Chiudeva il concerto, come bis, una toccante ninna nanna che Savall ha voluto dedicare alle vittime della redazione di Charlie Hebdo.

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