17 novembre 2013

La Taiwan Philarmonic e Viviane Hagner al Giovanni da Udine

Non capita spesso di ascoltare una compagine che sappia unire all'eccellenza – e di eccellenza è davvero lecito parlare – musicale e tecnica una qualità di suono ammirevole per trasparenza e morbidezza. Probabilmente in molti hanno pensato, dopo l'impalpabile attacco dell'orchestra nel Concerto in re minore di Jean Sibelius, che la speranza di ascoltare una grande serata di musica stava concretizzandosi. E così è stato.
Il terzo appuntamento della stagione del Teatro Nuovo Giovanni da Udine, che vedeva impegnati la National Symphony Orchestra di Taiwan, altrimenti nota come Taiwan Philarmonic, la bacchetta di Shao-Chia Lü e lo Stradivari di Viviane Hagner, è stato un successo.


Già il primo brano in programma, l'ouverture Le carnaval romain di Berlioz, metteva in luce l'assoluta pulizia tecnica della Taiwan Philarmonic (l'impeccabile sincronismo degli archi, la limpidezza di legni ed ottoni) pur lasciando qualche riserva sulle sonorità secche ed aguzze scelte dal direttore (il confronto con la pienezza e la rotondità di suono in Sibelius evidenziano che di scelta si trattava). Non che ci fosse meccanicità in questo Berlioz, tutt'altro, ma una certa austerità di fondo che, pur esaltando il nitore orchestrale e contrappuntistico, non restituiva il brano in tutta la sua dirompente vitalità. Non si esclude che tale impostazione mirasse ad emancipare la composizione dall'impronta operistica - non si dimentichi che il carnevale romano nasce come “riciclaggio” di spunti musicali contenuti nel Benvenuto Cellini, dopo la disastrosa accoglienza alla prima - ed elevarla, se così si può dire, a composizione sinfonica a tutti gli effetti.

Come detto, ben altro spessore, sia in termini di cura del suono, sia di fraseggio, aveva il Concerto in re minore per violino e orchestra op. 47 di Sibelius. Molto positiva anche la prova della violinista Viviane Hagner la quale proponeva un Sibelius asciutto ed essenziale, senza indugiare in effetti di facile presa o sovraccaricare la scrittura del concerto, già di per sé stessa piuttosto ammiccante. Qualche suono sporco e minimi difetti di intonazione toglievano davvero poco all'esecuzione della musicista tedesca.
Il brano Breaking Through della giovane compositrice Ming-Hsiu Yen, presente in sala, probabilmente non lascerà traccia nella storia della musica ma ha il pregio di mettere in vetrina la vastità di risorse cromatiche e la purezza di suono dell'orchestra. Un lavoro di facile presa, piacevole e ben confezionato, che mescola con astuzia molto di già sentito a qualche buona idea. Lü sapeva ricavarne un caleidoscopio di colori ed impasti, coadiuvato da un'orchestra lodevole.

Con la Settima Sinfonia in La maggiore di Beethoven si aveva la conferma definitiva di trovarsi di fronte a una compagine di ottimo livello e a un direttore di grande sensibilità. Shao-Chia Lü sceglieva tempi per lo più rapidi, facendo proprio il gusto dominante che vuole un Beethoven meno romantico e più illuministico di quanto usasse in passato. Nonostante l'organico orchestrale rispecchiasse un'impostazione tradizionale, con un netto sbilanciamento in favore degli archi, il direttore sapeva mantenere una sorprendente leggerezza di suono, restituendo una Settima asciutta ed elegante, calibrata al millimetro negli equilibri orchestrali e nelle dinamiche, sfumate in tutte le gradazioni che vanno dal pianissimo più sussurrato al forte più terso e compatto. L'orchestra suonava con straordinaria bellezza timbrica e precisione (fatti salvi un paio di pasticci dei corni); basterebbe citare la delicatezza dell'ingresso di violoncelli e viole nell'allegretto o il perfetto contrappunto e l'esattezza ritmica delle varie sezioni nel terzo movimento. L'analisi capillare della partitura e la perizia esecutiva non celavano alcuna freddezza ma piuttosto un razionalismo che indirizzava l'interpretazione verso un trionfale ottimismo, esaltando quell'idea di armonia e gioia che è colonna portante della sinfonia.

Grande successo di pubblico sia per Shao-Chia Lü e la sua orchestra, sia per la Hagner che hanno omaggiato il teatro con due bis.

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