Unico appuntamento operistico della stagione, il Nabucco verdiano giunge al Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone in un allestimento firmato da Stefano Poda per regia, scene, luci e costumi, che convince a metà.
La scena, fissa per tutta la durata dell'opera, riproduce un ambiente chiuso, claustrofobico, quasi un bunker cementizio dal cui soffitto pendono, capovolti, dei cadaveri mummificati. Tutto qua. Per il resto, fatto salvo qualche gioco di luci indovinato, tutto è statico, immobile. L'impostazione registica annulla la dimensione corale dell'opera per ridurla a dramma privato, puntando in sostanza sul suo versante più debole. Tutto ciò che richiama, o dovrebbe ricondurre, all'imponente macchinario storico (la vicenda che, benché posta sullo sfondo, è la vera protagonista dell'opera), è solamente accennato, o, nei momenti in cui davvero non se ne può fare a meno, quasi subito. Rimane la vicenda famigliare di Nabucco che, di per se stessa, è poca cosa e che, per convincere, avrebbe bisogno di ben altro approfondimento registico e drammaturgico. Invece il lavoro su solisti e masse è minimo, i caratteri sono appena abbozzati o risolti per sommi capi, l'analisi sulla psicologia – per quanto consentito dal non ispiratissimo libretto di Solera – grossolana.
Fortunatamente su ben altri livelli si collocava l'esecuzione musicale.
Fabián Veloz era un buon protagonista più per ragioni interpretative che vocali. Lo strumento del baritono non impressiona per virtù intrinseche ma è ben gestito, con tecnica appropriata, in un canto lavorato sulla parola e sui colori. Veloz piaceva particolarmente nell'aria Dio di Giuda, cantata con partecipazione e gusto.
Tiziana Caruso sapeva risolvere l'insidiosissima parte di Abigaille grazie ad una voce ampia ed estesa, modulata in un canto sorvegliato e curato nel fraseggio. Ottima la resa dell'aria del secondo atto con relativa cabaletta per morbidezza di emissione, accento e pulizia della linea. Solo gli estremi acuti mostravano alcune asperità o forzature.
Michail Ryssov dimostrava di possedere, a dispetto di una voce non immune da opacità, tutte le note che la scrittura di Zaccaria richiede. Alcuni problemi di intonazione e un registro acuto faticoso erano ben compensati dalla personalità e dall'autorevolezza scenica del basso.
Molto buona la prova di Marina Comparato, Fenena di bel timbro ed ottima musicalità.
Alejandro Roy, nei panni di Ismaele, palesava una vocalità faticosa e forzata nel passaggio che sapeva tuttavia espandersi in acuti luminosi e ben timbrati.
Gabriele Sagona prestava al Sacerdote di Belo voce di bella pasta e buon volume; positive le prove di Lara Matteini (Anna) e del tenore Alessandro Cosentino (Abdallo).
Michael Guettler, alla guida dell'Orchestra del Teatro Verdi di Trieste, offriva una prova di buon senso, mirata a sostenere la narrazione ed il palcoscenico piuttosto che a ricercare il preziosismo orchestrale. Una direzione dal passo teatrale molto agile, sostenuta nei tempi e ben calibrata nei volumi in cui si è tuttavia sentita la mancanza di un maggiore approfondimento del fraseggio e del suono come di una più intensa partecipazione nei momenti scopertamente lirici. Molto buona la prova del coro del teatro triestino, preparato da Paolo Vero.
A fine spettacolo accoglienza calorosa per tutti da parte del pubblico pordenonese, con punte di entusiasmo per Tiziana Caruso e Fabián Veloz.
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