Per uno strano gioco di nomi è l’Ouverture del Don Giovanni di Mozart ad aprire la stagione del Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Mozarteumorchester sul palco, Ivor Bolton sul podio, teatro colmo o poco meno.
Orchestra e direttore hanno la musica del genio salisburghese nel sangue e sanno suonarla con invidiabile disinvoltura e stile inappuntabile. Bolton opta per una lettura illuministica, dagli equilibri apollinei, in cui la dimensione melodrammatica del brano è deliberatamente accantonata in favore della leggerezza e della trasparenza di suono. L’ouverture mozartiana esce dalle mani del direttore come una splendida scultura canoviana in cui il marmo, pur lavorato nel sublime stile neoclassico, non riesce a scansare del tutto quel senso di rigidità e freddezza che ne sono cifra intrinseca. Non ci sono i colori tetri né la tragicità presagita nell’andante iniziale, non l’esuberante vortice dionisiaco dell’allegro ma un’eleganza sinfonica, più versata alla ricerca della qualità del suono che alla restituzione di un significato teatrale – che in simile contesto non avrebbe peraltro alcun senso ricercare.
Ancora Mozart con il concerto 23 per pianoforte e orchestra e sul palco del GdU sale il pianista Fazil Say, autore di una prova di grande spessore. Un Mozart estroverso e brillante quello del musicista turco. Non c’è quell’intimo raccoglimento a cui hanno abituato taluni grandi ma un’urgenza espressiva che si tramuta in immediatezza, freschezza d’animo. Il suono, di perlaceo splendore, si innalza spavaldo su quel cuscino di velluto che Bolton sa cavare dall’orchestra, il temperamento del pianista è convogliato in forza espressiva, mai in forzature o cadute di gusto. L’allegro è affrontato con esuberanza creando un piacevole effetto di contrasto sulle tinte pastello scelte da Bolton, l’adagio, teso ma raccolto, si stempera nella funambolica conclusione con un crescendo di tensione. Qualche minimo inciampo nell’allegro finale non rovina una prestazione maiuscola, applauditissima dal pubblico (a sua volta ricambiato con due preziosi bis).
Se già nella prima parte di concerto Bolton era piaciuto, con la terza di Brahms il direttore inglese conquista il pubblico. L’orchestra, rimpolpata nell’organico, trova una straordinaria compattezza di suono pur senza perdere di leggerezza e precisione. L’ispirazione compositiva del tedesco, che nella terza sinfonia raggiunge vertici assoluti sia nella costruzione e manipolazione della linea melodica ed armonica che nella caleidoscopica varietà di colori, è restituita dall’Orchestra Mozarteum fino all’ultima delle sfumature. Non è cosa di tutti i giorni un Brahms tanto sobrio nel gusto, liberato dalle incrostazioni post-romantiche di tradizione, eppure intenso, poetico ma garbato. Nella lettura di Bolton non c’è spazio per l’effetto facile né per ruffianerie di sorta, la musica è linguaggio comune, un discorso in divenire che il maestro sa rendere scorrevole forte di una sottile gestione del ritmo, evitando al pari dell’eccessiva rigidità l’utilizzo dozzinale del rubato che spesso affossa le esecuzioni della musica brahmsiana. Le sezioni orchestrali si inseguono ed abbracciano in un gioco ad incastro perfettamente calibrato in cui trovano posto le mille suggestioni della partitura con coerenza e straordinario senso di unità, senza cedimenti o cali di tensione.
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