Intelligentemente Joan Anton Rechi capisce che il grimaldello più efficace per scardinare la tradizione interpretativa di Tosca, in modo da offrirne un’alternativa plausibile, è Scarpia, il personaggio più complesso nonché il vero motore dell'azione. Così nella nuova produzione in scena al Teatro La Fenice decide di proporne un ritratto non convenzionale ma tutto sommato assennato: ne fa una sorta di gangster, emanazione di un non meglio definito potere, che conduce i suoi loschi traffici nella penombra, lontano da occhi che non siano quelli dei suoi scagnozzi. Chiaramente è un disegno che emerge nel secondo atto che, anziché nelle stanze di Palazzo Farnese, va in scena all’aperto, intorno a una berlina di lusso posteggiata in un piazzale antistante a un edificio in cui si intravedono, attraverso le finestre, la cantata della diva Floria Tosca e il pestaggio di Cavaradossi.
Partendo da questo presupposto, è perfetta la scelta di scritturare per la parte Roberto Frontali, che è attore e artista misuratissimo cui basta un’alzata di sopracciglio per definire uno Scarpia gelido e spietato. Peccato dunque che in occasione della prima sia stato annunciato indisposto e abbia palesato evidenti problemi vocali sin dal Te Deum, che sono andati peggiorando man mano che il secondo atto avanzava.
Secondo atto che, proprio grazie all'originale caratterizzazione del villain, è il momento teatralmente più interessante di uno spettacolo che nelle frazioni dispari è invece assai ordinario e ricalca il palinsesto, sia in termini di recitazione che di drammaturgia, della gran parte delle Tosche che si siano viste in teatro dal 1900 a oggi, salvo riproporlo con un differente sfondo scenografico (a firma di Gabriel Insignares). Una cornice che non segue le indicazioni del libretto, generando qualche inutile stridore col testo non compensato da un sostanziale guadagno in efficacia e pregnanza.
È convenzionale nel taglio vocale anche il Cavaradossi di Riccardo Massi, che pure ha una bella canna, acuti sicuri che dispensa con generosità e, a dispetto di un canto non stentoreo ma nemmeno molto vario, una sana baldanza che non spiace se applicata a un personaggio non particolarmente sfaccettato.
È invece assai varia nella dinamica e nell'accento la Tosca di Chiara Isotton, che fraseggia con classe, forte di una vocalità non torrenziale ma rigogliosa e rotonda, ampia nel registro medio grave e ben sfogata in acuto. Spiace dunque che alcune preziose intenzioni, come i pianissimi in chiusura di un Vissi d’arte ottimamente eseguito, si siano dovuti scontrare con un suono orchestrale sempre eccessivamente presente e spesso prevaricante sulle voci. Responsabilità in parte della sala, che da sempre sconta limiti di bilanciamento buca-palcoscenico praticamente con qualsiasi bacchetta, ma anche di Daniele Rustioni, che tiene la manopola del volume sempre verso la zona alta. Per il resto la sua Tosca si giova di un'Orchestra della Fenice in splendida serata per qualità complessiva e fluidità di legato, ma anche per flessibilità, pur spinta a un approccio alla partitura che si discosta sì da certi languori della tradizione, ma che non punta decisa neanche verso un taglio più spigoloso-analitico. È insomma una Tosca incalzante, con poco spazio per bellurie o concessioni ai cantanti, esuberante nei passaggi più drammatici ma altresì perfettibile nell'impronta personale.
È all’altezza della situazione il resto del cast, a partire dal sagrestano di Matteo Peirone e da Mattia Denti, presenza assidua nei cast veneziani, che presta la sua solida voce di basso a Cesare Angelotti. Completano il quadro il pavido Spoletta di Cristiano Olivieri, assai ben caratterizzato, Matteo Ferrara (Sciarrone) e Emanuele Pedrini, un carceriere. Spiace che in locandina non sia segnalato il nome del bravo solista del Coro dei Piccoli Cantori Veneziani - al solito preparati alla perfezione da Diana D’Alessio - che dà voce al pastorello. Inappuntabile il Coro della Fenice diretto da Alfonso Caiani nei suoi pochi ma fondamentali interventi.
A fine recita successo pieno e prolungato per tutta la compagnia.
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