28 febbraio 2025

Ray Chen e Tabita Berglund in concerto

 Con il suo piglio informale e il carisma da popstar, Ray Chen è il prototipo del solista moderno, capace di piacere al grandissimo pubblico e al tempo stesso soddisfare le ragioni musicali della pagina al massimo livello. Ed è un dominio della scrittura, ma anche della comunicazione, che emerge chiaramente in un lavoro “da valigia” come il Concerto per violino e orchestra in re maggiore, op. 35 di Čajkovskij, portato sul palco del Teatro Verdi di Pordenone, dove il violinista australiano è tornato a otto anni dalla sua prima apparizione, dimostrando una crescita sensibile sotto ogni punto di vista.

foto Teatro Verdi Pordenone - di Simone Scognamiglio

   Il suo è un violinismo tanto caldo e appassionato quanto strumentalmente impeccabile, cui non manca nulla: virtuosismo, mordente, intonazione, colori, rotondità e proiezione del suono, dizione cristallina nei passaggi più svelti, espressività - un’espressività per certi versi molto estroversa e appassionata, ma ficcante - e la capacità di dialogare con un’orchestra ottimamente rifinita da Tabita Berglund, che si conferma uno dei nomi più interessanti della nuova generazione di direttrici.

   C’è sì un piglio francamente romantico, sia nei riferimenti, sia nella profondità del suono, sia nel modo di far cantare lo strumento, ma anche una forza nell’osare colori moderni, persino graffianti, che affrancano questo Čajkovskij da certo modo burroso e lacrimevole di intendere il lavoro per proiettarlo in un gusto decisamente più contemporaneo.

   Tabita Berglund riserva la medesima attenzione alla trasparenza nella Sinfonia n. 7 in re minore di Antonín Dvořák, esposta secondo un punto di vista di scuola tipicamente nordica per chiarezza strumentale e asciuttezza di articolazione e dunque poco incline a sollecitare impasti densi e un’espressività slava nei fraseggi. È chiaramente un approccio che sacrifica qualcosa in termini di legato orchestrale, inteso come abilità di fondere le frasi e il suono delle diverse sezioni creando quell’effetto alone che omogenizza l’amalgama, e dunque più secco di quanto si sia soliti ascoltare in questo repertorio, ma che d’altro canto rivela dettagli altrimenti nascosti. Berglund dimostra altresì un ottimo controllo dei bilanciamenti interni e della conduzione vera e propria, anche per merito di un’Orchestra della Svizzera italiana, responsiva anche se non sempre impeccabile negli ottoni, che per timbrica degli archi e flessibilità pare ideale nell’assecondare questo taglio.

Successo trionfale per Ray Chen e molto caldo per direttrice e orchestra a fine concerto.

Nessun commento:

Posta un commento