È un Mahler preso estremamente sul serio quello di Donato Cabrera: titanico, magniloquente, che si adagia in contemplazione quando le dinamiche si fanno leggere e i tempi sono distesi e s'infiamma nelle esplosioni orchestrali. Un Mahler celebrativo e pomposo che vola altissimo nelle intenzioni ma che, in fin dei conti, riesce a scavare poco a fondo nella poetica del compositore austriaco.
La lettura della Sinfonia n.5 in do diesis minore che il maestro americano porta al Teatro Nuovo Giovanni da Udine alla guida della San Francisco Symphony Youth Orchestra, orchestra giovanile non priva di qualità, si rivela un piacevole ascolto ma, con molta probabilità, non avrà incidenza alcuna sulla storia dell'interpretazione. È ormai molto difficile rinunciare, in Mahler, accanto alla grandiosità più esteriore dell'impianto, alle più sottili implicazioni, all'ironia, alle venature malinconiche, al coraggio di spingersi, in certi momenti, oltre i limiti del grottesco. D'altronde già Freud osservò quanto nella mente di Mahler, e quindi nella sua musica, tragedia e frivolo divertimento fossero inestricabilmente connessi. Cabrera si ferma all'esaltazione della macchina grandiosa costruita dal compositore, ricercando (e in gran parte dei casi ottenendo) un suono scintillante e luminoso e sublimando le pagine più liriche e distese con un sentimentalismo quasi ingenuo; l'Adagetto ad esempio, staccato con una lentezza tale da mettere in seria difficoltà i violoncelli, è assaporato con tale svenevolezza da risultare, in fin dei conti, stucchevole. Funzionano decisamente meglio la Parte I ed il Rondo-Finale cui, tutto sommato, giova la vibrante estroversione, molto “americana”, infusa dal podio.
L'orchestra, a dispetto dell'anagrafe dei musicisti, risponde molto bene, benissimo per quanto riguarda gli archi, mentre gli ottoni pasticciano in più di una occasione.
Non solo Mahler nel programma dell'orchestra statunitense: la prima parte di concerto, dopo una Pavane per orchestra in fa diesis minore op. 50 di Fauré non indimenticabile, vede protagonista il bravo Sergey Khachatryan impegnato nel Concerto in sol minore op.26 per violino e orchestra di Max Bruch. Il violinista è ottimo virtuoso dello strumento ed abile fraseggiatore, controlla prodigiosamente le dinamiche (tutte le sfumature dei piani e pianissimi sono assai suggestive) mentre è meno vario e fantasioso in fatto di colori. L'orchestra lo sostiene correttamente pur eccedendo in pesantezza nei momenti di maggiore concitazione.
A fine concerto accoglienza festosa del pubblico in sala, premiato da due bis.
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