Ci voleva un'ottima ragione per convincermi a rinunciare alla finale di Champions League, che poi non è andata neppure benissimo. Ebbene una ragione l'ho trovata: a Udine Myung whun-Chung dirigeva la Staatskapelle Dresden, non serve aggiungere altro. Non è stato difficile decidere dove andare e, a conti fatti, la scelta è stata vincente.
Myung-Whun Chung si conferma, ad ogni ascolto, musicista tra i più interessanti in circolazione. Il direttore pare aver raggiunto la maturità artistica di chi scava nella musica ricercandovi l'essenziale, scansando qualsiasi cedimento alla retorica. Lo dimostrano la fluidità e la mobilità ritmica che sa trarre dall'orchestra, la rinuncia ad ogni enfasi o sottolineatura, il gesto minimale e pulito: la musica che ne scaturisce pare illuminata da pennellate, sgorga con tale naturalezza da lasciare incantati.
Brillantissima l'esecuzione della Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 36 di Beethoven dove l'organico ridotto, se, com'è giusto che sia, alleggerisce il peso orchestrale, nulla sacrifica in pienezza e splendore del suono. Ogni inciso è timbricamente differenziato, i violini primi esibiscono un colore completamente diverso dai secondi, i legni sfoggiano una pastosità rara a sentirsi. L'introduzione felpata e misteriosa pare richiamare le atmosfere del Franco Cacciatore di Weber, poi, via via, la sinfonia prende vita, culminando in un Allegro molto tellurico negli accenti e nella vivacità dei tempi adottati, acceso da scarti dinamici brucianti.
Nella Sinfonia n. 4 in sol maggiore "La vita celestiale" di Gustav Mahler Chung sa trovare un equilibrio squisito tra la minuziosità dell'analisi armonica e contrappuntistica della partitura e la fluidità dello svolgimento. L'assoluta trasparenza della trama orchestrale non solo lascia scorgere ogni singola nota del più recondito inciso, ma ciò che più colpisce è la caleidoscopica ricchezza di tinte cui ogni strumento è sollecitato. A momenti si ha l'impressione che i musicisti sul palco si moltiplichino, tale è la gamma di colori che riescono ad esprimere. Non che il lavoro del maestro si limiti ad un esercizio di vivisezione della partitura, tutt'altro: l'interpretazione di Chung vive di sottilissime inflessioni ritmiche che, senza indugiare in rallentandi o accelerazioni eclatanti, infondono alla musica una vitalità pulsante. Non c'è un momento in cui la partitura risulti solfeggiata o rigidamente scandita, tutto scorre senza cedimenti o forzature, in un fluire continuo. La trasparenza della concertazione ha inoltre il merito di sottrarre la musica mahleriana all'enfasi elefantiaca di cui spesso cade vittima, portando la sinfonia ad una dimensione che forse è eccessivo definire intimistica ma che senz'altro è caratterizzata da una mirabile attenzione al dettaglio ed agli equilibri. Convincente il soprano Sophie Karthäuser nel Lied che conclude la sinfonia.
Trionfale l'accoglienza del pubblico a fine concerto.
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