10 giugno 2015

Chung dirige la Staatskapelle Dresden

Ci voleva un'ottima ragione per convincermi a rinunciare alla finale di Champions League, che poi non è andata neppure benissimo. Ebbene una ragione l'ho trovata: a Udine Myung whun-Chung dirigeva la Staatskapelle Dresden, non serve aggiungere altro. Non è stato difficile decidere dove andare e, a conti fatti, la scelta è stata vincente.

La Staatskapelle Dresden è la classica orchestra di cui si sente dire che potrebbe permettersi di suonare senza direttore mantenendo comunque altissimo il valore dell'esecuzione; tali sono la perfezione strumentale e la qualità del suono espresse, che probabilmente è vero. Se però un maestro sul podio c'è, ed ha la classe e lo spessore di Myung-Whun Chung, l'esito del concerto appare quasi scontato. Nonostante già in partenza le aspettative per la prova dell'orchestra di Dresda al Teatro Nuovo Giovanni da Udine fossero molto alte, quello che si è ascoltato ha superato le più rosee previsioni. Avranno sicuramente giovato l'affiatamento che lega il direttore coreano all'orchestra, di cui è Direttore Ospite Principale o il fatto che il concerto, dopo tre repliche alla Semperoper ed una al Musikverein, fosse rodato alla perfezione, fatto sta che è molto raro ascoltare, soprattutto in Italia, un'esibizione sinfonica di tale pregio esecutivo e compiutezza.

Myung-Whun Chung si conferma, ad ogni ascolto, musicista tra i più interessanti in circolazione. Il direttore pare aver raggiunto la maturità artistica di chi scava nella musica ricercandovi l'essenziale, scansando qualsiasi cedimento alla retorica. Lo dimostrano la fluidità e la mobilità ritmica che sa trarre dall'orchestra, la rinuncia ad ogni enfasi o sottolineatura, il gesto minimale e pulito: la musica che ne scaturisce pare illuminata da pennellate, sgorga con tale naturalezza da lasciare incantati.

Brillantissima l'esecuzione della Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 36 di Beethoven dove l'organico ridotto, se, com'è giusto che sia, alleggerisce il peso orchestrale, nulla sacrifica in pienezza e splendore del suono. Ogni inciso è timbricamente differenziato, i violini primi esibiscono un colore completamente diverso dai secondi, i legni sfoggiano una pastosità rara a sentirsi. L'introduzione felpata e misteriosa pare richiamare le atmosfere del Franco Cacciatore di Weber, poi, via via, la sinfonia prende vita, culminando in un Allegro molto tellurico negli accenti e nella vivacità dei tempi adottati, acceso da scarti dinamici brucianti.

Nella Sinfonia n. 4 in sol maggiore "La vita celestiale" di Gustav Mahler Chung sa trovare un equilibrio squisito tra la minuziosità dell'analisi armonica e contrappuntistica della partitura e la fluidità dello svolgimento. L'assoluta trasparenza della trama orchestrale non solo lascia scorgere ogni singola nota del più recondito inciso, ma ciò che più colpisce è la caleidoscopica ricchezza di tinte cui ogni strumento è sollecitato. A momenti si ha l'impressione che i musicisti sul palco si moltiplichino, tale è la gamma di colori che riescono ad esprimere. Non che il lavoro del maestro si limiti ad un esercizio di vivisezione della partitura, tutt'altro: l'interpretazione di Chung vive di sottilissime inflessioni ritmiche che, senza indugiare in rallentandi o accelerazioni eclatanti, infondono alla musica una vitalità pulsante. Non c'è un momento in cui la partitura risulti solfeggiata o rigidamente scandita, tutto scorre senza cedimenti o forzature, in un fluire continuo. La trasparenza della concertazione ha inoltre il merito di sottrarre la musica mahleriana all'enfasi elefantiaca di cui spesso cade vittima, portando la sinfonia ad una dimensione che forse è eccessivo definire intimistica ma che senz'altro è caratterizzata da una mirabile attenzione al dettaglio ed agli equilibri. Convincente il soprano Sophie Karthäuser nel Lied che conclude la sinfonia.

Trionfale l'accoglienza del pubblico a fine concerto.

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