Di fronte al dolore della morte e della guerra ogni parola sembra povera di significato. La musica invece, quella massima, sacra nelle intenzioni e per la storia, sa e può esprimere quella commozione e quell’ineffabile magone che chiunque, davanti alle spoglie di centomila vite bruciate, non può non provare. Ai piedi del Sacrario agli Invitti di Redipuglia e dei suoi ospiti, caduti nelle trincee di un’Europa lacerata e divisa che speriamo appartenga al solo passato, la musica di Giuseppe Verdi e della sua Messa di Requiem ricordava i caduti di tutte le guerre. Sul podio di un’orchestra che riuniva idealmente musicisti provenienti da tutto il mondo, Riccardo Muti portava, a cent’anni dalla deflagrazione della grande guerra, il proprio messaggio di speranza: un omaggio a chi ha immolato la vita in guerra per garantire la pace.
Personalità in platea, dal Presidente Napolitano in giù fino al vippame più provinciale (riesumato per l’occasione), a caccia di un’inquadratura o di un’intervista. Poi i pellegrini veneranti del Maestro Muti, ribattezzato per l’occasione il Re di Puglia, e una bella infornata di personalità sonnacchiose ed annoiate che contavano i minuti alla fine del concerto. Cori alpini e una fanfara dimenticabile aprivano la serata.
In considerazione al mero – e sicuramente secondario – valore musicale della prova, non c’è molto da dire. Come sosteneva quel tale (e che tale!), all’aperto si gioca a bocce e non si fa musica e, aggiungo sommessamente io, se la si fa e la si amplifica (per ovvie necessità), si finisce per snaturarla a tal punto da renderla altro da quello che dovrebbe essere. L’impianto da concertone rock restituiva un suono inscatolato e cupo che lasciava intravedere solo a tratti i colori e le nuances dell’orchestra. Orchestra diretta con tecnica ineccepibile da Riccardo Muti che conosce il Requiem e il mestiere come pochi altri, per il resto la sua interpretazione andava poco più in là della perfezione formale. Tra i solisti si imponeva per classe e qualità Daniela Barcellona su un cast convincente ma non memorabile (la Serjan in difficoltà nella linea del libera me, il tenore Saimir Pirgu ed il bravo basso Riccardo Zanellato).
Applausi timidi e di circostanza per una manciata di minuti, poi tutti a casa.
Paolo Locatelli
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