27 aprile 2014

Dudamel e i Göteborgs Symfoniker in concerto a Udine

Capita di frequente, nell'ambiente musicale, che un artista, un cantante, un direttore, venga presentato al grande pubblico in giovanissima età con un'etichetta prestampata di grande talento. Spesso si tratta di bluff che svaniscono dopo una manciata di stagioni, a volte di onesti professionisti che la giovinezza rende più interessanti di quanto siano in realtà, molto di rado di veri e propri geni della musica. Dopo aver ascoltato Gustavo Dudamel, maestro poco più che trentenne celebre a livello internazionale ormai da diversi anni, a capo dei Göteborgs Symfoniker, orchestra di cui è direttore onorario, restano pochi dubbi sul fatto che il maestro venezuelano faccia parte della sparuta schiera dei talenti autentici. Lo è per padronanza tecnica, per maturità d'interprete ancor prima che per la straordinaria carriera di cui si sta rendendo protagonista (non si diventa direttori musicali della Los Angeles Philharmonic per caso).

Di rado capita di ascoltare un'orchestra suonare con la perfezione tecnica e l'espressività di cui sono stati capaci i Göteborgs Symfoniker guidati da Dudamel, senz'altro in buona parte per qualità intrinseche della compagine ma, non v'è dubbio, con un contributo rilevante del podio. Sarebbe un'eresia tralasciare i meriti del maestro il cui gesto nitido ed elegante ha saputo condurre gli orchestrali senza sbavature, esaltando l'accurato lavoro svolto in sede di prova: non si spiegherebbe altrimenti l'esattezza degli equilibri tra le sezioni e la preziosità dell'amalgama.

Apriva il concerto Till Eulenspiegels lustige Streiche, poema sinfonico di Richard Strauss a soggetto grottesco. Sin dall'attacco impalpabile dei violini, su cui si inserivano dolcissimi fagotti e clarinetti, si aveva la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un'orchestra di grandissima qualità. Nonostante l'imponente organico il suono risultava leggerissimo e timbrato, di limpidezza cameristica, la precisione strumentale e la cura timbrica dei professori d'orchestra impeccabile. Risultava inoltre evidente l'affiatamento con il podio, assecondato al millimetro in ogni intenzione dinamica e ritmica. Lo Strauss di Dudamel è discorsivo e raffinato, la perfezione orchestrale non è mai il fine ultimo ma un mezzo, non il solo, necessario alla narrazione. Il carattere farsesco della scrittura veniva esaltato con garbo ed ironia, senza pesantezze o forzature. Sorprendeva, oltre alla meticolosa cura dell'orchestrazione, la sottile varietà agogica della direzione, sempre mirata a valorizzare il senso del racconto musicale.

La Sinfonia in re maggiore n.38 Kv.504 “Praga” di Wolfgang Amadeus Mozart aveva il solo difetto di non avere difetti. Un'esecuzione di apollinea perfezione, in un certo senso controcorrente in un’epoca in cui va per la maggiore un Mozart d'impronta dionisiaca, violento, esasperato nei contrasti dinamici e travolgente nell'incedere. La Praga di Dudamel è un prodigio di equilibrismo ed eleganza, quasi una contemplazione della poesia armonica e contrappuntistica della partitura. I tempi sono rilassati, le dinamiche sfumatissime. La dimensione teatrale (i richiami a Nozze di Figaro e Don Giovanni sono più che evidenti), quel lato che Abert definiva passionale e demoniaco, vengono posposti all'analisi strutturale ed all'esaltazione della bellezza in sé della sinfonia. Un Mozart decisamente illuministico, razionale, liberato da ogni forzatura interpretativa, suonato senza sbavature da un'orchestra che, ridotta nell'organico rispetto al brano precedente, sapeva trovare una purezza di suono ed una trasparenza ancor più impressionanti, pur senza perdere quella rotondità e quella morbidezza che già aveva esibito nella prima frazione di concerto.

Con la Sinfonia n.2 in re maggiore op.43 di Jean Sibelius si entrava nel repertorio di elezione dell'orchestra svedese. Perfettamente in linea con quanto offerto in precedenza, Dudamel ne restituiva una lettura di grande pulizia e gusto in cui ogni dettaglio veniva illuminato senza scadere in calligrafismo, trovando un proprio senso nel discorso musicale. Colpivano la chiarezza del suono in ogni singolo momento, nei pianissimi più soffusi come nei forti che mai scadevano nel clangore, come la perfezione tecnica dei musicisti pressoché esenti da errori o sbavature. Sotto la guida di Dudamel ogni voce orchestrale trovava posto ed esaltazione con una naturalezza disarmante, calandosi nella narrazione con misura, nella consapevolezza, più evidente che mai, di essere la singola parte di un tutto ben più grande della somma algebrica delle individualità.

A fine concerto accoglienza trionfale del pubblico udinese con applausi interminabili come non accadeva da moltissimo tempo.

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