Penultimo appuntamento di una stagione musicale di grande successo, al Teatro Nuovo Giovanni da Udine arrivava la Cajkovskij Symphony Orchestra (in passato nota come Orchestra Sinfonica della Radio di Mosca) guidata dal suo storico direttore musicale Vladimir Fedoseyev con un programma interamente dedicato alla musica russa che prevedeva la seconda sinfonia di Rachmaninov e una Suite inedita dallo Schiaccianoci di Cajkovskij.
La Sinfonia n. 2 in mi minore op. 27 di Sergej Rachmaninov, con la sua scrittura sfacciatamente tonale, pare avere ben poco a che fare con la musica di inizio novecento, rifacendosi, senza soluzione di continuità, alla lezione di Cajkovskij e Rimskij-Korsakov.
Fedoseyev ne dava una lettura assolutamente personale, sofferta, discutibile e, forse, poeticamente incompiuta ma assolutamente coerente. Il maestro russo accentuava la dimensione tragica con intima partecipazione, assecondando ed esaltando il carattere malinconico dell'opera. Va da sé che, scegliendo una simile impostazione interpretativa, rimaneva il problema di come risolvere i passaggi più estroversi e vitalistici della sinfonia, in particolar modo l'allegro finale. Il fulcro della seconda, per Fedoseyev, è l'adagio: un adagio lacerante, intriso di dolente nostalgia, giocato su tinte autunnali e fraseggi delicati, con un uso elegante e discreto del rubato. Sul tappeto degli archi (davvero splendidi) risuonava senza sforzo il clarinetto e poi, via via, in un crescendo perfettamente calibrato, ogni voce si univa alle altre.
Nello scherzo non risultava completamente risolto il particolare strabismo della scrittura per cui, mentre il cantabile dei violini suonava ammantato di riflessi notturni ed avvolgenti, il tema dei corni (ispirato al Dies irae gregoriano) pareva caricato di una pesantezza forzata ed innaturale; il medesimo problema si avvertiva nel quarto movimento in cui il tema del Dies irae viene ripreso.
Tuttavia le perplessità circa la lettura di Fedoseyev non riguardano tanto la chiave interpretativa quanto piuttosto l'irresolutezza dell'arco evolutivo della sinfonia: nella lettura del direttore il climax ascendente di tensione si risolveva e stemperava con il terzo movimento per cui il finale risultava, se non slegato dal resto, forzatamente direzionato in senso drammatico e di conseguenza privato di quel carattere ottimistico e saltellante che pur ne sarebbe cifra distintiva, finendo per perdere qualcosa in termini di compiutezza.
Ciò detto l'orchestra suonava decisamente bene, con archi al di sopra di ogni lode e qualche sbavatura degli ottoni, dimostrando ottima coesione nel creare un suono denso ma rotondo, morbido e compatto.
Convinceva meno la seconda parte di concerto, dedicata ad una suite “apocrifa” dallo Schiaccianoci di Cajkovskij, curata da Vladimir Fedoseyev stesso. Sappiamo che l'originale suite, universalmente nota, fu licenziata da Cajkovskij ancor prima che l'intero balletto vedesse la luce, seguendo un criterio narrativo e poetico stringente e compiuto. Diversamente, la scelta dei brani apportata da Fedoseyev risultava disordinata e inintelligibile sia per quanto riguarda la coerenza con la trama del balletto (la distribuzione dei pezzi era completamente arbitraria) sia da un punto di vista meramente teatrale, mancando di quella tensione che dovrebbe fare di una suite un lavoro compatto anziché un insieme di brani slegati l'uno dall'altro. La suite creata da Fedoseyev raccoglie, secondo criteri di cui ci sfugge la logica, numeri distanti e scollegati del balletto, sovvertendone l'ordine cronologico e narrativo: si va dal celebre valzer dei fiori (n.13, nel balletto seguirebbe, nel secondo atto, i vari divertissement), posto in apertura, per finire con la scena di Clara e lo Schiaccianoci (che a rigore verrebbe molto prima, nel primo atto), passando attraverso la danza dei pastorelli, il trepak, il gran valzer finale (sistemato inspiegabilmente a metà suite), la danza araba e la danza del nonno.
Oltre alle ragioni editoriali, anche l'esecuzione musicale dello Schiaccianoci non brillava per originalità e spessore. Fedoseyev sceglieva tempi estenuanti, senza che alla lentezza corrispondesse un approfondimento del fraseggio o degli impasti orchestrali particolarmente curato. La rigidità del ritmo e una certa piattezza di dinamiche privavano la suite di quella delicatezza favolistica che caratterizza il balletto, puntando verso atmosfere molto più cupe e malinconiche che tuttavia non riuscivano a conquistare l'empatia dell'ascoltatore in ragione di una predominante pesantezza di fondo. L'orchestra suonava benissimo per quanto riguarda gli archi mentre legni ed ottoni si concedevano alcune sbavature; spiace ravvisare l'inadeguatezza dell'arpa, dal suono aspro e ritmicamente imprecisa.
A fine concerto buona accoglienza del pubblico udinese per i complessi e per il direttore che hanno salutato il pubblico con la danza spagnola dal lago dei cigni di Cajkovskij.
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