Prima opera di riconosciuta importanza composta da J.S. Bach dopo l'assunzione dell'incarico di Cantor presso la chiesa di S.Tommaso di Lipsia, la Johannes Passion (Passione Secondo Giovanni) giungeva al Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone in un concerto affidato ad una compagine tra le più apprezzate a livello internazionale nel repertorio del compositore tedesco: Orchestra e Coro Münchener Bach diretti ed accompagnati al clavicembalo dal maestro Hansjörg Albrecht.
Non v'è dubbio che l'orchestra bavarese, e ancor più il coro, nati intorno la metà del secolo scorso per volontà di Karl Richter, posseggano uno stile ed una specificità di linguaggio ricamati sulle necessità della musica di Bach. Non che si tratti di una compagine filologica in senso stretto, bensì di un'orchestra che mescola con equilibrio strumenti moderni, rigorosamente suonati secondo prassi antica, ad opportuni innesti (clavicembalo appunto, viola da gamba, violone, tiorba).
Sorprendente il coro, capace di sonorità rarefatte ed eteree ottenute grazie ad un'emissione scoperta dei cantanti, mirata alla valorizzazione della parola ed alla trasparenza piuttosto che alla rotondità di suono. Discorso che potrebbe essere ripreso pari pari per i solisti la cui tecnica vocale ricalca quelli che sono i crismi del canto barocco contemporaneo.
L'orchestra, guidata da Hansjörg Albrecht, suonava con equilibrio, eleganza, grande precisione (fatti salvi taluni pasticci dei flauti e degli oboi nella prima parte), rispondendo perfettamente alle suggestioni del podio. Albrecht sapeva infondere all'oratorio un ritmo teso grazie alla scelta di tempi agili ed al ruolo centrale affidato al basso continuo, portato ad imprimere vivacità e tensione alla narrazione.
In un cast omogeneo e complessivamente convincente, si distingueva l'Evangelista del tenore Thomas Michael Allen, voce chiara, di timbro quasi contraltino, capace di reggere con sicurezza e padronanza l'insidiosa scrittura della parte. Il cantante, a dispetto di alcune imprecisioni nei passaggi più probanti sotto il profilo virtuosistico, si dimostrava in possesso di un'eccellente gestione del fiato nonché di inappuntabile dizione (caratteristica fondamentale per la voce narrante dell'oratorio).
Klaus Häger, chiamato a sostenere sia la parte di Jesus che le arie da basso dopo la defezione di Thomas Tatzi, leggeva la musica bachiana accentuandone la dimensione mistica. Il Cristo solenne, quasi austero, di Häger, pareva distante dalle sofferenze dell'uomo umiliato e straziato dalla passione ma già proiettato verso la trascendenza. Pur con qualche tensione ed opacità nel registro acuto, il basso si distingueva per autorevolezza vocale e pregnanza stilistica.
Commovente la prova del mezzosoprano Stefanie Iranyi, cantante che trovava nella musicalità e nella cura dell'espressione i propri punti di forza. Piaceva senza riserve nell'esecuzione dell'aria Es ist vollbracht, prodigio di eleganza ed equilibrismo vocale, perfettamente sostenuta dal canto lacerante della viola da gamba.
Christina Daletska, a dispetto di alcune fissità in acuto, risolveva senza imbarazzi la parte del soprano.
Convincente per volume ed accento il basso Freddy Jost, impegnato nelle brevi parti di Pietro e Pilato.
A fine concerto accoglienza trionfale del pubblico pordenonese per tutta la compagnia.
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