“Gioventù mia, tu non sei morta, né di te morto è il sovvenir! Se tu battessi alla mia porta, t’andrebbe il mio core ad aprir!” Questa frase di Marcello racchiude in sé tutto il senso della Bohème. La Bohème è un affresco di giovinezza, l’istantanea di un tempo felice che svanirà. La gioventù intesa come primavera della vita, così ben rappresentata da Mimì che come un fiore è destinata ad appassire nell’arco di una stagione. La giovinezza sognante dei protagonisti maschili, in bilico tra gli ideali dell’arte e le contingenze quotidiane, quella civettuola e compiaciuta di Musetta. C’è tutto un mondo in Bohème che va dalla spensierata joie de vivre allo scontro con gli aspetti drammatici dell’esistenza passando attraverso i sogni e le chimere della poesia. La tanto citata “poetica delle piccole cose” si regge sulla narrazione di situazioni comuni, di caratteri normali che si incontrano, si rincorrono ed intrecciano dando vita ad immagini di commovente sincerità, ad un capolavoro di perfetto equilibrio tra commedia sentimentale e tragedia.
Lo spettacolo di scena al Teatro Verdi di Trieste piace. L’allestimento è tradizionale ma non polveroso, la regia curata da Elisabetta Brusa convince. Solisti e masse sono ben guidati in scena fin nel minimo dettaglio, scongiurando così il rischio di allentare la tensione teatrale o di annoiare. Forse talora si è visto qualche eccesso in senso caricaturale e qualche ruffianeria di troppo che potrebbe comunque imputarsi a una tradizione esecutiva tra le più incrostate come al gusto dei singoli interpreti.
Molto buona l’esecuzione musicale a partire dalla direzione di Donato Renzetti. Una lettura fresca ed intensa la sua, che ha saputo evitare il mellifluo sentimentalismo in cui è tanto facile cadere. Impeccabile l’accompagnamento al canto così come la gestione dell’orchestra, in splendida forma per l’occasione.
Al pari eccellente il Rodolfo del tenore Jean François Borras. La voce, seppur di modesto volume, è di bel timbro, il registro acuto facile e squillante ma capace di piegarsi in suggestive smorzature. Molto attento l’interprete sia sul piano musicale che attoriale. Meno convincente nel complesso la Mimì di Alexia Voulgaridou che è parsa non trovare la giusta inquadratura del personaggio soprattutto in ragione di un fraseggio indifferente ai versi del libretto come alla musica pucciniana e ad alcune difficoltà vocali palesatesi nei tentativi di alleggerire il canto. Va detto che, complici la bellezza della voce e della figura, la prova del soprano è stata comunque apprezzata dal pubblico. Gezim Myshketa si è rivelato un ottimo Marcello, simpatico e spontaneo. Il baritono ha sfoggiato voce di bel colore, perfettamente gestita in un canto morbido e sfumato. Non irreprensibile sotto il profilo canoro la Musetta di Daniela Mazzucato che pur ha saputo compensare grazie ad un’eccellente resa teatrale del personaggio e a un fraseggio molto curato.
Massimiliano Gagliardo, Schaunard, non ha convinto pienamente in ragione di una vocalità opaca che è parsa talora artificiosamente ingrossata mentre Dario Russo ha offerto una prova positiva nei panni di Colline regalando un’ottima esecuzione dell’aria del quart’atto.
Bravo, pur con qualche cachinno di troppo, Dario Giorgelè nei panni di Benoit e Alcindoro.
Ottima la prova del coro del teatro triestino diretto da Paolo Vero.
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