Caso più unico che raro, il programma primaverile della Gustav Mahler Jugendorchester si è esaurito nei due concerti che hanno punteggiato la residenza al Teatro Verdi di Pordenone, senza espandersi nella abituale tournée continentale. Due sole date dunque. La prima in trasferta a Venzone con il giovane Christian Blex, conductor ormai completamente emancipato nella sostanza dall’etichetta di “assistant”, che nei suoi anni alla GMJO sta compiendo davanti agli occhi di chi lo osserva il grande salto dallo status di giovane talento a quello di brillante realtà. E poi il concerto canonico, proprio nel teatro pordenonese che da dieci anni è la casa dell’orchestra, con il "grande vecchio” del podio Christoph Eschenbach.
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foto Luca D'Agostino / Phocus Agency |
Due approcci che si fatica a immaginare più distanti - flessibile e raffinato quello di Blex, denso e impetuoso quello di Eschenbach e, a dispetto dell’ormai veneranda età, sorprendentemente vivace - ma che danno la misura delle risorse di un’orchestra ancora una volta completamente rinnovata e ancora una volta straordinaria per qualità d’insieme e identità, anzi, che per quanto si apprezza in termini di rotondità e omogeneità del suono probabilmente sale sul palco in una delle sue migliori combinazioni recenti. Speculari anche i programmi proposti, che accostano a Bach alcune produzioni del Novecento post-bellico e un grande classico di repertorio ottocentesco.
Il concerto nel Duomo di Venzone, che ha un’acustica benedetta, offre la possibilità, ormai rara, di ascoltare Bach su strumenti moderni e con un’orchestra corposa, ulteriormente ammorbidita dal riverbero delicato dell’ambiente. La Terza suite re maggiore BWV 1068 nelle mani di Blex non acquisisce tuttavia un’impronta tronfia né sussiegosa, ma unisce alla levigatezza del suono un incedere al tempo stesso fresco ma disteso, né eccessivamente indugiante anche nei momenti che potrebbero sollecitare qualche punta di compiacimento, come l’Aria.
Questo impiego del legato duttile, abbinato e a una rifinitura perfetta nella cura dei bilanciamenti, si mantiene anche nel Concerto per orchestra d'archi di Bernd Alois Zimmermann, pezzo di rara esecuzione che meriterebbe ben altra considerazione, mentre Messagesquisse di Pierre Boulez - lavoro ricorsivo nella storia della GMJO, che l’ha proposto in passato proprio con il compositore sul podio - è quasi una parentesi che mette in mostra un comparto violoncelli sontuoso, con la parte solista affidata a uno sbalorditivo Bernardo Ferreira, che ha una presenza timbrica e carismatica da solista vero, non solo nel virtuosismo e nella capacità di “allargare” il suono del suo strumento, ma anche nel mordente con cui domina il manico.
Più facile è misurare la maturità dell’interprete nel grande repertorio della Sinfonia n. 1 in do minore di Felix Mendelssohn-Bartholdy che Blex anima di un’energia travolgente ma mai confusionaria, mantenendo quel legato di sezione degli archi e soprattutto quello “di concertazione”, inteso come fluidità nel rimpallo dialogico tra voci diverse, che lascia emergere il genio di un Mendelssohn appena quindicenne ma già orchestratore illuminato.
Quanto al main event del 17 giugno, dedicato alla memoria di Alfred Brendel, Premio Pordenone Musica 2018 mancato poco prima del concerto, sul podio è salito appunto Christoph Eschenbach, che ha dato forma a una sorprendente Ottava sinfonia di Beethoven. Non per l’approccio alla concertazione, che è quello che ci si aspetta da un direttore-pianista che tratta l’orchestra come un grande strumento da plasmare “in blocco” piuttosto che come un intreccio di linee diverse che si compongono, ma nell’impeto travolgente, quasi brutale, impresso alla pagina, vivificata con un’energia apparentemente incompatibile col gesto piccolo e didascalico. Non è dunque un Beethoven perbenino o ricondotto nel recinto del classicismo, ma sospinto da una forza tenace e continuamente sbalzato da animazioni che spuntano inattese e contrasti vertiginosi, anche a costo di spingere il suono vicino al limite sostenibile dai musicisti.
Peculiare ma impegnativo il programma “vocale” scelto per la prima parte della serata, che ha attirato un pubblico meno folto di quanto l’evento avrebbe meritato, con un Matthias Goerne che cesella da liederista di razza - e dunque modellando la voce da un’ottava grave scura a un registro acuto che si schiarisce e flette in sonorità ora aperte, ora alitate, ora livide - due opere che sollecitano risorse differenti. Se la Cantata Ich habe genug BWV 82 di Bach esige destrezza nell’uso strumentale della voce, che Goerne domina al meglio nella seconda aria Schlummert ein, ihr matten Augen, The Wound-Dresser di John Adams, un pezzo di fine anni Ottanta su testi di Walt Whitman, benché perfettamente rifinito sia nell'amalgama orchestrale, sia nell’espressività del solista, soffre di uno sbilanciamento costante tra il peso dell’accompagnamento, che potrebbe essere ancor più straniante e terreo, e il solista.
Successo calorosissimo e appuntamento rimandato ad agosto con la residenza estiva dell’orchestra, un concerto a Valvasone diretto dallo stesso Blex (14 agosto) e due date della tournée affidata a Manfred Honeck in programma per 2 e 3 settembre.
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