8 novembre 2021

Il caso Webern

Chi è cresciuto in provincia ha ascoltato da nonni e genitori i racconti degli sviluppi collaterali della guerra, in una periferia remota in cui tentacoli della politica e la giustizia arrivavano a singhiozzo e spesso i disordini civili davano la stura a regolamenti di conti privati o crimini abietti di ogni sorta. Accadimenti che sono rimasti spesso irrisolti, impuniti o nascosti da una coltre di omertà collettiva. Anton Webern morì il 15 settembre del 1945 in un posto del genere, Mittersill, un paesello del Tirolo austriaco, con tutta probabilità per un errore del suo giustiziere, un soldato americano. È ragionevolmente certo che costui fosse coinvolto in un’imboscata al genero del compositore, Brenno Mattel, un personaggio ambiguo dai trascorsi nel partito nazista che sul finire del conflitto si era dato al traffico di dollari per arrotondare illegalmente. Ne esitò un malinteso, forse uno scambio di persona, che fu fatale a Webern, freddato da tre colpi di pistola.



Dario Olivieri nel suo “Il caso Webern. Ricostruzione di un delitto” (Edizioni Curci) ripercorre la vicenda, partendo dalle ultime ore per andare poi a ritroso, sulla scorta di un lavoro di ricerca iniziato negli anni ‘90 per la realizzazione di un documentario.

Probabilmente un vero e proprio caso Webern non esiste. Almeno, non per come lo si può intendere, insomma non intorno alla morte, la cui dinamica è grossomodo accertata. C’è invece un contesto sociale e culturale, si potrebbe dire anche storico, che vale la pena di ricostruire per farsi un’idea più chiara della biografia del compositore e del clima che si respirava in Europa in quegli anni. Il libro è un pretesto per allargare la visione su di un’epoca e una storia non prive di angoli reconditi e dissipare un briciolo dell’oscurità che aleggia ancora sugli eventi più tragici del secolo scorso.

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