27 aprile 2021

Argerich e Ntokou: Beethoven Symphony No. 6 & Piano Sonata No. 17

Le trascrizioni per pianoforte dei grandi lavori sinfonici hanno spesso il merito di svelarne, già all’ascolto più superficiale, la complessità d’inventiva e l’organizzazione, poiché la privazione delle alchimie timbriche e della ripartizione tra le diverse voci orchestrali rende immediatamente intelligibile il processo di costruzione e lo sviluppo delle cellule tematiche. L’effetto è pressappoco quello di una radiografia in cui ogni elemento organico viene ridotto a diverse gradazioni di grigio.




Certo quando queste versioni in sedicesimo nacquero avevano il ben più umile proposito di diffondere le composizioni per orchestra nelle realtà più piccole piuttosto che arricchire l’esegesi delle stesse. Eppure, benché oggi tradiscano un certo anacronismo, le trascrizioni si rivelano molto più interessanti di quanto si possa immaginare, e non solo per il loro valore di testimonianza storica.

È un “effetto sorpresa” che suscita anche la Pastorale di Beethoven da poco uscita per Warner Classics, che, trasposta sulle quattro mani della versione di Selmar Bagge, certamente perde qualcosa del suo clima bucolico, ma svela tutta la sapienza del compositore tedesco nell’elaborazione del materiale. Una riduzione-calco che non ha la pretesa di mettere in vetrina il virtuosismo pianistico degli interpreti, ma di stampare una copia carbone il più fedele possibile all’originale.

Sarebbe tuttavia ingeneroso lasciar passare l’idea che il lavoro di cui si dà conto, ennesimo ottimo prodotto dell’anno beethoveniano appena concluso, sia una sorta di esercizio d’accademia o compromesso al ribasso. Innanzitutto per le ragioni sopra esposte, che si possono per brevità ricondurre alla possibilità di osservare un caposaldo del repertorio da un’ottica inedita e per certi versi illuminante. In seconda battuta perché due delle quattro mani in azione sono quelle di Martha Argerich, che oltre ad essere il solito prodigio di “meccanica pianistica” in termini di tocco, colore e tecnica, sa trattare il discorso musicale con la grazia e la liberà di pennellata della grande interprete, plasmando la frase con un’espressività romantica che non contrasta affatto con l’accuratezza dell’analisi, anzi, la enfatizza,.

Al suo fianco la giovane pianista greca Theodosia Ntokou parla il medesimo linguaggio ma soprattutto condivide con Argerich una visione comune dell’opera, il che assicura omogeneità e compattezza all’esecuzione.

È Ntokou a farsi carico anche della Sonata per pianoforte in re minore n. 17, nota come "La Tempesta", che chiude il disco. Scelta peculiare ma sensata se la si inquadra nell’ottica in cui nascono molti dei prodotti discografici odierni per debuttanti o artisti in rampa di lancio: fornire un ritratto il più dettagliato possibile delle qualità e della visione di un interprete, in questo caso spese su diverse declinazioni del medesimo autore.

Ntokou ne dà una lettura molto irruente e decisa, sia nel carattere che nel suono. Non c’è forse quella fantasia sapiente che si apprezza nella nella Pastorale a quattro mani, né la stessa morbidezza, ma un approccio energico e secco, giocato più sui contrasti dinamici e la chiarezza di scansione che sulle sfumature.

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