È una lezione di teatro quella che il professor Robert Carsen impartisce nel Richard III in scena al Teatro La Fenice. L’allestimento in realtà non è freschissimo ma nasce tredic’anni fa, assieme all’opera che Giorgio Battistelli trae da Shakespeare – su drammaturgia di Ian Burton – per la Vlaamse Opera di Anversa e arriva in Italia per la prima volta.
Come accade in nove casi su dieci, il segreto per il successo di una produzione operistica è la sinergia tra palco e musica, e da questo punto di vista Carsen dimostra ancora una volta di avere pochi rivali. Lo spettacolo, complice l’ispiratissimo disegno luci che il regista firma assieme a Peter Van Praet, esalta la tinta cupa e sinistra della scrittura di Battistelli, ne asseconda l’inquietudine estenuante e sfrutta gli snodi musicali e ritmici traducendoli in azione.
La scena fissa, firmata da Radu Boruzescu, riproduce la cavea di un anfiteatro sghembo che potrebbe ricordare vagamente i teatri d’epoca shakespeariana o un vecchio circo in disarmo. Ai suoi piedi il suolo è ricoperto da una sabbia rossastra che diventa all’occorrenza sangue zampillante o un letto in cui nascondere i cadaveri. Su questo palco va in scena la macabra recita di Richard, un’ascesa al trono che pare l’allungarsi di un’ombra a coprire tutto e tutti. È l’ombra della morte, quasi un morbo che si propaga dal protagonista a chi lo circonda e che, se non uccide, storpia di una deformità che è fisica quanto morale. Chi sopravvive a Richard diventa come lui o gli si vende, arruolandosi nel suo esercito di sgherri, dei beccamorti armati di una pala con cui lottano, ammazzano e seppelliscono.
Gidon Saks è il Richard di cui ha bisogno uno spettacolo del genere: tanta voce dunque, ruvida ma duttile il giusto da soddisfare una scrittura che richiede ogni sorta di sfumatura espressiva, ma anche carisma dilagante e consumato mestiere d’attore. La parte è di quelle pesanti, non solo per l’impegno e la durata (Richard calca il palco quasi incessantemente per le due ore abbondanti dell’opera) ma anche, appunto, perché il ventaglio di sollecitazioni cui è spinta la voce spazia dal sussurro all’urlo, dal parlato ai suoni aperti più graffianti, insomma mette a dura prova le corde vocali del baritono. Contraltare al male assoluto, luciferino del protagonista – a onor del vero non privo di certo fascino – quello banale del Buckingham di Urban Malmberg, un insulso impiegato senza spina dorsale.
Il secondo protagonista dell’opera è il coro, nel caso specifico quello della Fenice preparato da Claudio Marino Moretti, che, al solito, è una macchina da guerra: suono pieno e compatto ma anche la disciplina necessaria per assecondare una regia molto esigente.
Tra le donne se la cavano meglio Sara Fulgoni, che è un’intensa Duchessa di York, e la sofferente Queen Elisabeth di Christina Daletska rispetto ad Annalena Persson, la quale è una Lady Anne dal registro acuto arrembante.
Christopher Lemmings si sdoppia tra Clarence e Tyrrel. Vocalmente pallido il Prince Edward di Jonathan De Ceuster mentre Laila D'Ascenzio è il fratellino Richard. Convincono l’Edward IV di Philip Sheffield e l’Hastings di Simon Schnorr.
Completano la compagnia, dimostrando tutti una perfetta corrispondenza tra esigenze vocali e attoriali, Paolo Antognetti (Richmond), Zachary Altman (Lovell), Till von Orlowsky (Catesby/Rivers), Szymon Chojnacki (Ratcliffe/Brackenburry), Matteo Ferrara (1st Murderer/Archbishop) e Francesco Milanese (II Murderer/Mayor).
Tito Ceccherini condivide con un’Orchestra della Fenice in serata di grazia buona parte del successo della recita. Oltre alla ricchezza del suono, che esalta la possanza della scrittura orchestrale senza appesantirla, si apprezza una preziosa attenzione per gli equilibri interni e per la complessità ritmica della partitura, nonché un impeccabile sostegno al palcoscenico, merito da spartire con la regia sonora di Davide Tiso.
All’altezza anche la prova del Kolbe Children’s Choir diretto da Alessandro Toffolo.
A fine spettacolo è trionfo per tutta la compagnia, con punte di entusiasmo per Saks, Ceccherini e Carsen.
Recensione pubblicata su OperaClick
Nessun commento:
Posta un commento