20 marzo 2018

Antonii Baryshevskyi alla Fazioli Concert Hall

Chi non conosce i pianoforti Fazioli? Nessuno, però forse non tutti sanno che a Sacile, accanto alla "factory", c'è una sala da concerto: la Fazioli Concert Hall. Ci è appena passato Antonii Baryshevskyi, un pianista ucraino che farà parlare di sé. 

Foto Claudio Truccolo

A Sacile – una manciata di chilometri ad ovest di Pordenone – Fazioli costruisce i suoi pianoforti, ma non solo. Accanto alla produzione c’è una piccola sala da concerto, duecento posti scarsi, che da tredic’anni ospita una stagione di musica da camera in cui sono passati alcuni degli artisti più importanti in circolazione, la Fazioli Concert Hall.

Antonii Baryshevskyi non appartiene ancora a questa eletta schiera ma, dopo averlo ascoltato al pianoforte, non è imprudente prevederne un prossimo ingresso. Ucraino, trent’anni ancora da compiere e un carattere schivo da nerd, Baryshevskyi pare avere poco in comune con certo pianismo “biondino” e patinato imperversante. Non è di quelli che sgomitano per guadagnarsi i riflettori o che affrontano la ribalta del palcoscenico con pose da divastro, non ha niente di glamour né di intrinsecamente accattivante. Eppure si resta di stucco nello scoprire che quel sorriso mite da vicino di casa nasconde un musicista sopraffino in cui si reincarna uno spessore, di suono e di pensiero, d’altri tempi. Non è insomma un pianismo leggerino il suo, né all’insegna di un virtuosismo isterico a mitraglietta, ma di peso e sostanza, e innervato da una musicalità che si mantiene fluente anche nelle pagine più frastagliate. Baryshevskyi è una prodigiosa sintesi di suono, tanto e bello, e di controllo, che il gran coda Fazioli 278 esalta al massimo grado.

Perché, se è vero che la tecnica mostruosa non fa il grande musicista, è da lì che si parte per arrivare ai massimi livelli e lui questo dominio assoluto dello strumento ce l’ha. È tale bagaglio a consentirgli un funambolismo imprudente e sfrenato, nell’accezione più lusinghiera del termine, con cui scava nel pianoforte senza paura, lo sfida, lo blandisce, soffre e gode (e fa godere!) con lui.

Nei tratti ricorda quelle grandi orchestre dell’Europa orientale che uniscono alla pasta calda del suono flessibilità e trasparenza. E le ricorda anche nel gusto musicale, per la libertà di fraseggio e la cantabilità, ma anche per ampiezza di risorse espressive, perché Baryshevskyi nella sua valigia ha tutto: ha il pianissimo (ascoltare l’attacco di Arc-en-ciel per credere), ha l’agilità morbida e di forza, ha pure certa rabbia violenta, quando serve (l'Allegro drammatico dei 5 Préludes op. 74 è a dir poco tellurico). E poi sa mettere tutto insieme, con la capacità di penetrare nello stile di ogni brano senza ricondurlo esclusivamente a sé, o alla propria cifra, ma senza nemmeno annullarsi. Il che sorprende due volte se si guarda al repertorio in programma, che è da artista onnivoro ai limiti della sfacciataggine. Dal classicissimo Beethoven al russissimo Scriabin, passando attraverso le varie declinazioni di Novecento incarnate da Bartók, Ligeti, Stravinskij e dal Debussy del bis (dei Feux d'artifice da mastro fuochista) cambia la prospettiva ma resta intatta la vertigine della veduta.

Un pianismo completo, si diceva, per la ricchezza di lessico e di sfumature, che è sì di pensiero ma anche di istinto. Lo si capisce da come “swinga” leggermente il tema del Primo movimento della Sonata n. 32 in do minore op. 111, sul suo finire, o dalla libertà ritmica con cui la destra sviluppa la melodia del Tango di Stravinskij sopra la scansione metronomica della sinistra.

I tre movimenti da Pétrouchka – che Baryshevskyi ha già inciso, ventenne, nel 2009 per Naxos – sono ormai interiorizzati e dominati a tal punto da trascendere il mero virtuosismo, che già di per sé sarebbe un gran bel cimento, e mirare dritto alla sostanza. Il pubblico se ne rende conto ed esplode di entusiasmo.

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