Falstaff è un'opera dagli equilibri fragilissimi tale è la quantità di implicazioni, sfumature, di idee e suggestioni che concorrono a definirne il carattere. Riuscire a restituirne l'umore evitando di sacrificare alla comicità le venature malinconiche riducendo il tutto in farsa o, d'altro canto, inciampando in un'eccessiva seriosità, è una sfida impervia per ogni singolo interprete dal regista, al direttore fino all'ultimo dei comprimari. L'allestimento portato al Teatro Nuovo Giovanni da Udine dai complessi del Verdi di Trieste ove andò in scena con cast non molto diverso nello scorso giugno, esemplifica una volta in più quanto, nel Falstaff, la quadratura del cerchio sia tutt'altro che banale.
Mariano Baudin, regista, si ferma ad un primo livello di lettura senza scavare in profondità tra le pagine del libretto. Il tono sorridente dell'opera è malinteso in favore di un umorismo schietto ed esteriore non sempre privo di cadute di gusto e il lavoro sui personaggi rispecchia tale principio. Tuttavia, una volta accettando il presupposto di partenza che necessariamente comporta la rinuncia ad una componente importante e caratterizzante dell'opera verdiana, va riconosciuta al regista l'abilità nell'organizzare una narrazione vivace e ben coordinata, magari non originalissima nelle intuizioni ma funzionale e di buon ritmo. Scene e costumi sono tradizionalissimi e richiamano un modo antico di fare teatro fatto di mezzi semplici, fondali dipinti e costumi d'epoca.
Se è compito arduo individuare la giusta misura nel tracciare una linea interpretativa convincente nell'allestire un Falstaff, non meno complesso risulta il lavoro di concertazione. La direzione di Francesco Quattrocchi è piena di buone idee: il suono morbido e vellutato, la scelta dei tempi, i fraseggi, tutto concorre a disegnare un'atmosfera crepuscolare ma serena non priva di ironia benché lontanissima dagli eccessi di comicità che lo spettacolo suggerirebbe; lo aiuta un'Orchestra del Verdi di Trieste in splendida forma, protagonista di una prova davvero impeccabile per nitore e precisione. Purtroppo, complice probabilmente l'esiguo numero di prove, il dialogo con il palcoscenico è problematico e, non di rado, orchestra e cantanti non trovano la giusta amalgama o peggio si avvertono scollamenti imbarazzanti tra buca e cantanti.
Il Sir John di Paolo Gavanelli, chiamato a sostituire l'indisposto Alberto Mastromarino, ha una sua coerenza. Senz'altro si tratta di un Falstaff ruvido e scorbutico sia sul piano interpretativo sia nella vocalità, un Falstaff che rinuncia ad ogni retaggio di nobiltà e che nulla ha di cavalleresco o signorile. Tuttavia questo protagonista rude e burbero dalla voce fibrosa ed opaca ma possente, funziona: per quanto discutibili siano i presupposti su cui si regge, Gavanelli dà vita a un protagonista vivace e assolutamente credibile vario nelle dinamiche e nell'accentazione a dispetto di uno strumento di scarsa duttilità, ritmicamente saldo e sicuro sulla scena.
Roberta Canzian ha eccellente musicalità tuttavia, in più d'un occasione, dà l'impressione che la parte di Alice le stia vocalmente larga. Convince il Ford di Domenico Balzani che, rispetto alle recite triestine, è parso più misurato e rifinito mantenendo invariate le notevoli qualità vocali di ampiezza e proiezione del suono.
Rossana Rinaldi ha il merito di rinunciare ai vezzi in cui scadono molte Quickly, mantenendo sempre una linea di canto pulita ed evitando di gonfiare i centri per trovare maggiore volume; purtroppo la voce, quasi sopranile, è troppo chiara e leggera per imporsi.
Luis Gomes viene a capo senza difficoltà della parte di Fenton; in particolar modo è parsa eccellente l'esecuzione dell'aria del terzo atto. Meno a fuoco invece Mina Yamazaki, Nannetta dal fraseggio generico e non sempre impeccabile nell'intonazione. Molto positiva la prova di Antonella Colaianni, Meg Page. Inappuntabili Alessandro D’Acrissa (eccellente Dottor Caius), Gianluca Sorrentino (Bardolfo) e Dario Giorgelè (Pistola).
Ottima la prova del coro del Teatro Verdi di Trieste.
A fine spettacolo applausi convinti per tutta la compagnia.
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