Il Teatro Nuovo Giovanni da Udine, pur rappresentando una realtà defilata e apparentemente ai margini dei giri di maggiore richiamo, offre, ormai da diversi anni, stagioni di primissimo livello con protagonisti di caratura internazionale.
Non sorprende quindi ritrovare, ad inaugurare la stagione 2013-14, Tugan Sokhiev, direttore tra i più affermati e celebri della sua generazione, alla guida della Deutsches Symphonie Orchester Berlin, accanto al pianista Boris Berezovskij, in un programma interamente dedicato al Novecento russo.
La Suite Scita op. 20 di Sergej Prokof'ev nasce come rielaborazione di un'idea musicale originariamente destinata al balletto “Ala e Lolli” cui il musicista si vide costretto a rinunciare quando i lavori erano già in fase avanzata; è dunque inevitabile che rimanga nell'opera un'impostazione narrativa che avvicina questa composizione alla musica a programma. Sokhiev leggeva il lavoro enfatizzando la violenza - o sarebbe forse il caso di dire “la ferocia”, stando alle indicazioni del compositore stesso - ed individuando nel rigore ritmico e nell'asciuttezza di suono e fraseggio i cardini della propria interpretazione. L'orchestra suonava scattante e puntuale, capace di reggere l'ampia escursione dinamica imposta dal podio, nei pianissimi soffusi e sempre a fuoco come nelle esplosioni in fortissimo, quasi rabbiose, di grande compattezza e luminosità.
Non stupisce che la stessa orchestra sapesse, poco più tardi, defilarsi nel ruolo di accompagnatrice del pianista Boris Berezovskij nel Concerto n. 2 op. 102 per pianoforte e orchestra dello stesso Prokof'ev, trovando la morbidezza e l'equilibrio necessari a sostenere il solista. Solista che stemperava il rigore martellante del concerto con leggerezza quasi salottiera, proponendo un'interpretazione coerente ma forse non perfettamente allineata all'idea del podio, meno incline a prendere poco sul serio questo Prokof'ev giovanile.
Boris Berezovskij piaceva ancor di più nel Concerto n. 1 op. 10 per pianoforte e orchestra di Dmitri Shostakovich, riuscendo ad inquadrare e condensare le diverse anime, apparentemente distanti tra loro – e, parrebbe, da Shostakovich stesso, almeno quello “di regime”, magniloquente e titanico di molti suoi lavori precedenti - che caratterizzano primo e terzo movimento, di saltellante frivolezza, quasi in antitesi al secondo, improntato ad un post-romanticismo fuori tempo massimo in odore di Rachmaninoff.
La lacerante, e forse un po' ruffiana, espressività dell'andante veniva valorizzata lavorando sulle dinamiche e sul colore piuttosto che sull'agogica. Sulla stessa linea di rigore ritmico, che mai scadeva in metronomicità, l'allegro iniziale e lo speculare movimento finale trovavano la giusta misura nella spensieratezza ironica e leggera del pianoforte di Berezovskij.
Terminava il concerto la Suite da L’oiseau de feu di Igor Stavinskij, nella più celebre seconda versione del 1919. Sokhiev ne dava una lettura in cui le asperità e le scortesie della partitura prevalevano nettamente sul lirismo e il rigore ritmico sulla morbidezza. Pur senza sacrificare la bellezza di suono (basterebbe ricordare la trasparenza degli archi nell'introduzione o il perfetto equilibrio tra le sezioni orchestrali), non c'era calligrafismo né compiacimento e l'espressività pareva trattenuta anche nei momenti di maggiore impatto emotivo in favore di un'analisi strutturale del lavoro. Nel finale, la linea essenziale del corno, impegnato in un dialogo di struggente poesia con la delicatissima orchestra, esemplificava al meglio i riferimenti estetici del direttore il quale rinunciava ad ogni ammiccamento ritmico od espediente di fraseggio per giocare sulle sfumature di volumi e colori, esaltando le risorse cromatiche dei musicisti berlinesi.
Nessun commento:
Posta un commento