Si è spento, nella totale indifferenza della stampa italiana, il baritono americano Cornell MacNeil, protagonista per decenni delle stagioni dei principali teatri d’oltreoceano. Nato a Minneapolis nel 1922, nella sua lunghissima carriera collezionò oltre seicento recite al Metropolitan di New York in un repertorio tutto sommato piuttosto ristretto.
Mac Neil fu interprete sensibile, moderno ed intelligente, adorato da pubblico, inspiegabilmente sottovalutato dalle case discografiche. Dotato di vera voce baritonale tra le più belle che si ricordino, seppe piegare la splendida natura al servizio dell’arte drammatica e del canto evitando di cedere al mero esibizionismo vocale che pure all’epoca era assai apprezzato e in cui non avrebbe avuto rivali.
Big Mac, com’era affettuosamente soprannominato dal pubblico, fu indimenticabile interprete dei principali ruoli della corda baritonale da Rigoletto a Tonio, da Jago a Simon Boccanegra, da Jack Rance a Scarpia che fu forse il suo cavallo battaglia.
Rimangono fortunatamente i dischi a testimoniare l’arte del baritono americano. La morbidezza d’emissione, l’eleganza del fraseggio, lo spessore interpretativo, il sapiente dosaggio delle dinamiche evidentemente consentito da un’eccellente cognizione tecnica pongono Mac Neil in scia ai grandi baritoni americani del secolo, da Tibbett, passando per Warren fino a Merrill di cui raccolse il testimone. L’ampia cavata, dominata agilmente in ogni settore, la spavalderia del registro acuto, lo splendore della mezzavoce lo restituiscono come esemplare prototipo di quella che dovrebbe essere la famigerata vocalità del “baritono verdiano”, tanto cara agli appassionati d’opera.
Paolo Locatelli
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