Il Teatro Olimpico di Vicenza, sede ormai da diversi anni del Vicenza Opera Festival, offre un’esperienza di fruizione del melodramma unica per almeno due ragioni. La prima è la dimensione e l'organizzazione degli spazi, con le gradinate a circondare buca e palco, che sono un tutt’uno, cosa che accorcia le distanze e rende più intimo il rapporto con gli artisti. La seconda è dettata dall’assenza di vere e proprie quinte e di tecnologie sceniche avanzate, che costringe le produzioni a deviare verso forme per così dire rudimentali di messa in scena, come a riallacciare il filo con l’origine stessa del teatro.
Quando questo lavoro di sottrazione e apparente semplificazione, che in realtà semplificazione non è, funziona con tutti i crismi, si assiste a qualcosa di prodigioso, com’è nel caso dell Ariadne auf Naxos di quest’edizione. Un’Ariadne ibrida nella costruzione editoriale, che va in scena senza il Prologo, sostituito da una suite delle musiche di scena de Le bourgeois gentilhomme ad accompagnare una deliziosa pantomima cui partecipano, oltre ai cantanti, anche i musicisti della Budapest Festival Orchestra, che si dividono la scena recitando, danzando e, incidentalmente, continuando a suonare divinamente.
Al di là dell’eccentricità delle scelte, lo spettacolo funziona perché Iván Fischer e la co-regista Chiara D’Anna rispolverano il carattere genuino della commedia dell’arte senza rinunciare al suo lato grottesco e quasi naive, ma cavalcandolo, aiutati dall’armamentario scenico leggerissimo e cartoonesco di Andrea Tocchio, che riesce a fare tanto con poco, e ai bei costumi di Anna Biagiotti. Ne sortisce un meccanismo teatrale di inesausto dinamismo, in cui i cantanti-attori e un paio di mimi, ma anche il direttore, animano un palcoscenico su cui c’è quasi nulla, restituendo quella mutevolezza di registri propria dell'opera, in cui il comico cede il passo ora al patetico, ora al grottesco, ora a un erotismo schietto.
Dal punto di vista squisitamente musicale le cose vanno ancor meglio e il merito è innanzitutto di un’orchestra al solito prodigiosa per duttilità e calore, che suona con la delicatezza di un quartetto e la possanza di un organico mahleriano. Il tutto pilotato dall’eleganza antiretorica e dall’ironia di Fischer, un direttore che si pone sempre come intermediario tra la pagina e il suono e che mai dà l'impressione di voler attirare su di sé i riflettori anteponendo la propria indiscutibile personalità alle ragioni della musica.
Emily Magee, nei panni della protagonista, firma una prova in crescendo sotto il piano vocale, pur con qualche tensione negli acuti, ma è solidissima nella caratterizzazione di una Ariadne divorata da uno straziante dolore interiore.
Andrew Staples, Bacco, non ha un timbro baciato dalla natura ma si beve con irridente facilità una parte breve ma infida come poche. Come accade spesso, Zerbinetta è la trionfatrice della serata e in questo caso non sorprende: Anna-Lena Elbert non è un usignolo che recita ma un’attrice che canta da usignolo, con voce sì voce piccolina ma omogenea e comoda in ogni registro.
È niente meno che eccellente il contributo delle quattro maschere: Gurgen Baveyan è un Arlecchino esuberante, Stuart Patterson disegna Scaramuccio da gran caratterista, Daniel Noyola (Truffaldino) lascia scorgere una voce di basso di prima qualità e Juan de Dios Mateos è un Brighella di sorprendente squillo.
Sono altresì ottimamente distribuite per caratteristiche timbrico-vocali e per purezza della linea di canto le tre ninfe: Samantha Gaul (Naiade), Olivia Vermeulen (Driade) e Mirella Hagen (Eco).
Trionfo a fine recita con battimani ritmati da parte del pubblico che si sono conclusi solo quando Fischer ha congedato orchestra e artisti.