Per capire Gabriela Montero bisogna partire dalla fine. Terminato il Concerto per pianoforte e orchestra di Edvard Grieg, quando sarebbe l'ora di risedersi al pianoforte per i bis, la pianista decide di improvvisare, chiede al pubblico un tema musicale e ci gioca sopra. Il risultato è sorprendente, anzi, esaltante. Un turbine di tecnica, virtuosismo, fantasia ed emotività. Il "cuore" infatti, in questo stato di trance vagamente posata cui si crede fino a un certo punto, è centrale, o almeno la Montero fa di tutto per dare l'impressione che lo sia. Ci si trova di fronte a un enthousiasmós iperemotivo, un tantino retorico ma conturbante, soprattutto nel momento in cui la sostanza prevale sulla forma e la verità sulla sensazione. Tutto ciò avviene alla fine, quando il pubblico suggerisce Summertime (da Porgy and Bess di Gershwin) e lei ci si tuffa dentro con tutta se stessa, dedicando il pezzo al suo Venezuela, che sta attraversando momenti davvero bui. E qui, dopo qualche minuto di grande intensità, un magone profondo le spegne le dita. La Montero si emoziona, si commuove, e la sala con lei. Poco prima da "la donna è mobile" nasce invece uno spettacolo pirotecnico imbevuto di jazz, con tutt’altro spirito.
Quanto si ascolta nelle improvvisazioni compendia l'arte della pianista. Il suo Grieg è su per giù la stessa cosa: emotivo, sanguigno, un filo ammiccante ma funambolico. La Montero domina la tastiera con una facilità irridente: sa cavarne suoni di strepitosa bellezza (l’attacco dell’Adagio è puro cristallo, poche volte abbiamo sentito il Fazioli del Verdi produrre qualcosa di simile), sa trattare i tasti a carezze ma anche frustarli con un vigore esplosivo. L'agilità sul pianoforte è da fuoriclasse, lei lo sa e ci marcia un po' sopra. La sensazione generale, di fronte a questa artista, è che ci sia a tratti la voglia di stupire, di conquistare il pubblico anche senza rinunciare a qualche trucchetto o ruffianata, siano essi espedienti retorici che attengono al ritmo, all'espressività (un certo indugiare sul tempo, lo sfasare bassi e mano destra) o appunto a un’esasperazione della passionalità.
Al suo fianco, o per meglio dire dietro di lei, l'Orchestra Leonore diretta da Daniele Giorgi si rivela un’eccellente spalla: benissimo nel Mattino dal Peer Gynt di Grieg che apre il concerto, dipinto con una trasparenza ammaliante, altrettanto nel Concerto per pianoforte e orchestra op.16.
Più controversa invece la Sinfonia n. 4 in mi minore Op. 98 di Johannes Brahms che non parte al meglio, con qualche sbavatura di troppo nel Primo movimento, per decollare poi con l’Andante moderato, almeno per quanto riguarda la prova della Leonore. L'orchestra infatti suona davvero bene, trovando, oltre alla precisione, un bel colore scuro e compatto ed esibendo prime parti di tutto rispetto. La direzione di Daniele Giorgi è attenta agli equilibri e a tenere insieme il quadro ma non riesce a valorizzare pienamente la complessità della scrittura, risultando eccessivamente omogenea nei colori e piatta nei fraseggi.
Ottima l’accoglienza del pubblico pordenonese con punte di entusiasmo per Gabriela Montero.
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