18 marzo 2013

Daniel Harding e la SRSO al Teatro Comunale di Pordenone

Ci sono eventi che, seppure indirettamente, intervengono in profondità nella storia della musica; l’omicidio di Gustavo III, Re di Svezia, avvenuto nel 1792 durante una festa in maschera ne è un esempio lampante. Verdi ne trasse un gran partito (direbbe il Barone di Trombonok) col suo Gustavo III che la censura fece poi diventare Un Ballo In Maschera mentre gloria minore ebbe Joseph Martin Kraus, compositore tedesco del diciottesimo secolo che a quel ballo partecipò e che volle, con la sua Symphonie funébre, celebrare il ricordo del sovrano.

La stessa sinfonia funebre in do minore di Joseph Martin Kraus apriva il concerto di Daniel Harding alla guida della Swedish Radio Symphony Orchestra al Comunale Giuseppe Verdi di Pordenone, concerto di punta della stagione musicale del teatro.
Harding propone un Kraus delicato, crepuscolare, più malinconico che scopertamente tragico. Gli equilibri sono cameristici, il suono orchestrale di straordinaria morbidezza, quasi ovattato. Chi si attendesse tempi sostenuti e sonorità asciutte, caratteri distintivi del coevo Mozart di Harding, sarà rimasto sorpreso nel trovarsi di fronte ad una lettura intimistica e meditata, in cui si intravede un romanticismo presagito, se non nel turgore del suono, nel sentimento.



Se con Kraus, considerata l’importanza secondaria, non è difficile sorprendere, a ben altro tipo di confronti si presta il Mahler della Quinta sinfonia in do diesis minore, lavoro frequentato dalle più grandi personalità del podio, passate e contemporanee.
Il Mahler di Harding è irrequieto e mobilissimo, giocato sul contrasto tra l’apollinea perfezione del suono e la dionisiaca varietà agogica, in ciò assecondato da un’orchestra impeccabile per perfezione tecnica e pulizia. Il suono è luminoso, trasparente anche nei fortissimi, mai sfuocato negli impalpabili pianissimi. 

La Quinta esce dall’orchestra con fluidità e coerenza espositiva sorprendenti, in un febbrile crescendo di tensione che si stempera in un finale travolgente. La Marcia funebre è un dialogo più teso e meno drammatico rispetto a quanto si sia abituati ad ascoltare, in cui l’interazione tra le voci dell’orchestra e la gestione delle dinamiche sono il vero motore pulsante piuttosto che la peculiarità del colore; lo Scherzo è gestito tra pennellate impressionistiche e finezze contrappuntistiche sottolineate con garbo, senza scadere nel calligrafismo. Per il celebre Adagietto Harding sceglie un tempo sostenuto, puntando ad un’emotività epidermica piuttosto che al languore tristaniano di certa tradizione, così da risultare perfetto prologo ad un rondò esplosivo ed elastico nei tempi, ottimista nella sostanza.

A termine concerto direttore ed orchestra hanno regalavano ad un pubblico entusiasta un inatteso bis verdiano, il Preludio al primo atto del Ballo in Maschera, eseguito con l’eleganza e l’intensità cui solo una compagine sinfonica di primo livello guidata da un grande del podio può aspirare.

Nessun commento:

Posta un commento